In realtà, i negoziati per l’uscita della Gran Bretagna dal circolo UE devono ancora iniziare, ma sono già a rischio. Colpa della fretta di Boris Johnson, ancora gasato dalla schiacciante vittoria elettorale che gli ha consegnato il pieno mandato di mollare le ancore e veleggiare in proprio, anche se verso dove non si sa.
“Super BoJo”, come lo chiamano i giornali, ha intenzione di far approvare una legge che escluda qualsiasi proroga al periodo di transizione, necessario per stipulare gli accordi commerciali e ridisegnare diritti e doveri reciproci: per lui, tutto dovrà essere fatto entro il 31 dicembre del prossimo anno, costi quel che costi. Ma anche correndo come forsennati, fanno notare gli esperti al di qua e al di là della Manica, non sarà possibile raggruppare in 11 mesi scarsi la marea di accordi e norme stilati in mezzo secolo di convivenza. Il rischio più reale, quello che sembrava scongiurato, è il tanto temuto “no deal”, l’uscita senza accordo vista come un lancio senza paracadute dalle conseguenze potenzialmente disastrose. In gioco ci sono i dazi sulle merci, code infinite alle dogane, penuria di medicinali e approvvigionamenti, i visti per i cittadini europei e quelli britannici, un possibile stop della collaborazione fra polizie nella lotta al terrorismo e alla criminalità, e il trattamento dei dati.
“La verità è che Johnson vuole accesso totale al mercato europeo, ma non vuole assumersi gli impegni che rendono possibile l’accesso. Non accetteremo un accordo commerciale che permetta standard più bassi per i nostri consumatori rispetto a quelli previsti dal mercato interno: se vuole avere accesso al nostro mercato, la Gran Bretagna deve rispettare i nostri criteri per produrre e vendere prodotti”, hanno commentato quasi in coro Philippe Lamberts, portavoce dei Verdi alla UE, e Manfred Weber, capogruppo PPE. Il sospetto è che BoJo abbia in mente un modello sul tipo di Singapore, l’isola-città-stato con il più alto numero di milionari in rapporto alla popolazione.
La preoccupazione per le trattive serratissime serpeggia a Bruxelles, e l’hanno chiaramente espressa il presidente Ursula von der Leyen e il suo vice, Valdis Dombrovski, che parla di un “calendario molto rigido che inevitabilmente costringerà ad escludere alcune cose dalla partnership futura”. Getta acqua sul fuoco il capo negoziatore UE Michel Barnier, che promette di “fare il massimo”, precisando che “quello che viene definito il precipizio non sarà mai una scelta della UE. È la ragione per cui lavoreremo con dinamismo e passione per arrivare ad un accordo”. Ma le premesse, al momento, non ci sono.