Doveva essere il giorno decisivo, quello che i quotidiani britannici avevano definito un secondo “D-Day”: dopo aver strappato un accordo a Bruxelles, il premier Boris Johnson era chiamato al passaggio parlamentare, pieno di insidie fin dall’inizio. Così è stato, puntualmente: con 322 voti favorevoli e 306 contrari, la Camera dei Comuni ha approvato quello che è stato chiamato “l’emendamento Letwin”, dal nome del sottosegretario Sir Oliver Letwin che ha presentato un teso che prevede che anche in caso di approvazione dell’accordo firmato da BoJo, la data della Brexit sia rinviata fino a quando non sarà approvata dal Parlamento tutta la legislazione necessaria a rendere valido l’accordo. Un tranello che combinato con il “Benn Act” (la legge anti no-deal), significa mettere Jonhson nella scomoda posizione di chi deve tornare a Bruxelles e pietire un nuovo rinvio. Cosa che BoJo non ha alcuna intenzione di fare, come ribadito da giorni, aggiungendo che il Regno Unito uscirà dalla UE il 31 ottobre prossimo, con o senza accordo. Una disubbidienza che potrebbe anche trascinarlo davanti ad un tribunale.
Fuori da Westminster, nelle stesse ore, oltre un milione di persone sta sfilando da ore, chiedendo ancora una volta la possibilità di esprimersi in un secondo referendum che a questo punto si fa sempre più probabile.