Il Regno Unito potrebbe non essere unito ancora per molto. La Brexit, che ha permesso a BoJo di tornare a Londra cantando vittoria – anche se per gli analisti la calata di “braghe” c’è stata, eccome – apre le porte a un’altra grana, non meno spinosa: la Scozia.
Nelle stesse ore in cui Downing Street tirava almeno un sospiro di sollievo e brindava all’ultimo natale da europei, la premier scozzese Nicola Sturgeon alzava la voce per dire che il suo Paese ha invece tutte le intenzioni di restare in Europa, e quindi di chiedere l’indipendenza attraverso un altro referendum. Oltre a definire un “vandalismo culturale” la decisione di Johnson di uscire dal programma “Erasmus” che vieta agli studenti europei di andare nel Regno Unito – e allo stesso modo ai giovani anglosassoni di fare lo stesso in Europa – a indispettire la Scozia è il divieto di esportare patate da semina sul territorio europeo, voce che pesa per 112milioni di sterline di cui fare a meno ogni anno.
Insomma, quanto basta alla Sturgeon per urlare che per la Scozia è arrivato il momento di essere “una nazione europea e indipendente”: a sei anni di distanza dal referendum che per il 55% aveva bocciato l’uscita dal Regno Unito, lo dicono diversi sondaggi, che danno un 62% degli scozzesi pronti a mettere la “X” per uscire dall’influenza inglese e diventare padroni del proprio destino.
Johnson, a dirla tutta, non ha mai raccolto le richieste di un ennesimo referendum, considerando la possibilità del 2014 sufficiente a mettere la parola fine alla questione. Ma la Sturgeon ribatte che è vero, ma da allora le cose sono ben diverse, a cominciare proprio dalla “Brexit”, che gli scozzesi avevano bocciato in massa votando “remain”: quindi, “l’uscita dalla UE è avvenuta senza rispettare la volontà della Scozia”, dose rincarata da una tagliente conclusione: “Nessun accordo potrà mai compensare quello che la Brexit ci porta via”.