Boris Johnson torna a Londra da Bruxelles imbottito di legittimo orgoglio: dopo mesi di trattative, minacce e male parole, è riuscito a strappare un accordo con gli inflessibili vertici della UE che potrebbe dare il via alle fasi finali della Brexit, una via crucis lunga tre anni.
Questa è la buona notizia. Quella cattiva è che la decisione ha potenzialmente dato il via ad una serie di eventi che potrebbero mettere fine al suo mandato di Primo Ministro. BoJo ha di fronte a quelli che quasi sicuramente ricorderà come i due giorni più dolorosi della sua carriera politica. Tanto per cominciare, avrà il compito di convincere Westminster e l’opinione pubblica a sostenere il suo accordo. Ma è un’impresa che parte in salita: il partito laburista si è già detto contrario e punta dritto verso un secondo referendum, per ridare al popolo l’ultima parola dopo mesi di incertezze. Altri vorrebbero eliminare del tutto la Brexit. In mezzo ci sono gli alleati del Partito Democratico Unionista dell’Irlanda del Nord, quelli che ancora prima della partenza per Bruxelles hanno guastato i piani di Johnson annunciando che non lo sosterranno.
Secondo gli analisti, il nuovo accordo di Johnson è simile a quello costato la testa a Theresa May: tutto ciò che Johnson ha fatto è rimuovere una parte del backstop irlandese per sostituirlo con qualcosa di molto più complicato. E proprio Johnson, non va dimenticato, ha votato contro l’accordo della May per ben due volte.
Ora il premier più spettinato del mondo deve guardare negli occhi i Brexiteers che ha guidato con polso fermo e dire che il suo accordo vale 39 miliardi di sterline (circa 50 milioni di dollari) mentre quello della May non valeva nulla.
Sabato, Johnson porterà il suo accordo davanti al Parlamento per una seduta speciale: sarà costretto a passare tutta la giornata ascoltando le critiche che pioveranno da tutti gli angoli della Camera dei Comuni.
In questo momento, BoJo non può contare sui numeri: le previsioni gli attribuiscono una perdita limitata, ma se nelle prossime 48 ore tutto andasse in pezzi, potrebbe essere una sconfitta schiacciante, l’ultima della sua carriera politica.
Se questo accadrà, Johnson sarà legalmente obbligato a chiedere una proroga dell’articolo 50 e ritardare la Brexit, l’unica cosa che aveva promesso di non fare. A quel punto, è probabile un’accelerazione verso le inevitabili elezioni generali. Quando e se la proroga sarà concessa, Johnson e i suoi avversari si concentreranno sulla campagna elettorale: il premier accuserà chi ha affossato il suo accordo di aver rubato la Brexit al Regno Unito. Gli altri gli ricorderanno che la sua breve esperienza di premier passerà alla storia come un colossale esempio di fallimento. Sarà attaccato da sinistra e da destra: quelli che vorrebbero una Brexit più morbida - o non la vogliono per niente - diranno che Johnson voleva irresponsabilmente trascinare il paese nel baratro, gli altri lo accuseranno di aver venduto la UK all’Europa.
Nulla di tutto questo toglie il fatto che Johnson è riuscito in un’impresa che gli era stata dipinta come impossibile: un nuovo accordo che sorprendentemente sembra piacere all’intera Unione Europea. Ma non ai suoi.