Neanche il tempo di godere per il trionfo, che sul Regno Unito tornano ad addensarsi nuvole scure e minacciose. A spingerle verso Westminster è Nicola Sturgeon, leader degli indipendentisti scozzesi dell’SNP, che da Edimburgo tuona contro i freschissimi risultati elettorali: se l’Inghilterra ha votato per lasciare la UE, la Scozia la pensa diversamente, e nell’Europa ha intenzione di restarci. “Abbiamo di nuovo detto no a Johnson e alla Brexit, vogliamo un futuro diverso”.
È l’inizio di quella che gli esperti definiscono la “disgregazione” del Regno Unito: oltre alla Scozia, che chiede un secondo referendum ben sapendo che sarà negato, con il risultato di esarcerbare ancora di più gli animi, c’è l’Irlanda, dove alle urne hanno dominato unionisti e Sinn Féin. Da quelle parti, il confuso sistema dei controlli doganali messo in piedi da Johnson per scongiurare il backstop non piace a nessuno. Anche dall’Irlanda, dicono in molti, non tarderà ad arrivare la richiesta di un referendum per lasciare il Regno Unito.
Al di là dei proclami, delle dita a “V” e della data del 31 gennaio 2020 come giorno di addio alla UE, resta l’incognita dei trattati di uscita, una prateria di discussioni infinite in cui stabilire la circolazione delle merci e delle persone, il commercio, i fondi strutturali e via così. A goderne di più sono gli USA, la Cina e la Russia, a cui un’Europa unita, forte e competitiva non è mai piaciuta.