In Svezia, patria della libertà e dei diritti, una polemica riempie da giorni le pagine dei giornali e divide l’opinione pubblica. Il caso è quello di Amanda Hansson, 19 anni, una giovane svedese di Malmoe – alta e bionda come da protocollo – che qualche giorno fa è regolarmente salita ad una fermata su un autobus della linea 3, ma dopo aver presentato il biglietto all’autista, si è sentita invitare dallo stesso a scendere dal mezzo per via dell’abbigliamento troppo sfrontato, “non permesso dal regolamento”.
La ragazza ha tentato di protestare ma è stata costretta a scendere, raccontando subito dopo l’episodio sul suo profilo Facebook: “Era una giornata caldissima, e indossavo un paio di short ed un top annodato sul davanti, nulla di che. Appena salita, l’autista mi ha fermato dicendo ‘non puoi vestirti così sui nostri mezzi, è una regola della compagnia. Vai a ricoprirti, poi torna’. Sono scesa con la voglia di piangere, non ero mai stata così umiliata in vita mia”.
Il post è diventato virale in breve tempo, finendo per diventare un caso: oltre a scusarsi con Amanda, la compagnia di trasporti urbani ha individuato e sospeso l’autista – di cui non sono state rivelate le generalità - confermando che non esiste alcuna regola simile. Ma ormai era tardi: diversi intellettuali e politici hanno cavalcato l’episodio parlando di una preoccupante deriva fondamentalista del Paese scandinavo. E per di più, a scaldarsi maggiormente per difendere la libertà di abbigliamento sono state alcune associazioni musulmane. In primis Sara Mohammed, presidente dell’associazione per la difesa del corpo femminile, musulmana di origine curda: “Nessuno: un autista, un marito, un padre o un fratello, ha diritto di dirci come dobbiamo vestirci. Il nostro corpo è nostro e basta”.