Di Marco Belletti
Tutto sommato non sarebbe poi una cosa così tremenda, basterebbe farci l’abitudine. Trenette ai bachi da seta, risotto con le cavallette o ravioli di terra con bacherozzi potrebbero essere tre specialità immancabili nei menu di ogni ristorante che si rispetti.Certo, nell’immaginario collettivo visualizzare nella mente uno di questi piatti e confrontarlo con un ben più familiare spaghetti ai frutti di mare mette un po’ di tristezza, ma a ben guardare per chi non li ha mai visti prima anche i gamberetti non hanno un aspetto poi così invitante. E che dire dei calamari o delle lumache?
Sono sempre più numerosi i nutrizionisti che affermano che gli insetti avranno, in un futuro non così distante, un ruolo importante nella nostra alimentazione. A sentire gli esperti, infatti, sarebbero nutrienti e ricchi di proteine e siccome convertono praticamente tutto il cibo in massa corporea – al contrario di mammiferi e uccelli che ne utilizzano buona parte per mantenere alta la temperatura corporea – a livello teorico sarebbe molto meno costoso allevarli.
In alcune parti del mondo gli insetti fanno già parte dell’alimentazione umana, per esempio in Thailandia (dove è facile trovarli come “street food” cucinati in diversi modi: in frittura, bolliti, alla griglia…) o in Cina, nelle cui campagne è pratica comune cibarsi di pupe del baco da seta, cicale, grilli, coleotteri giganti e scarafaggi. Anzi, il governo di Pechino ha avanzato richiesta all’Unesco di attribuire ai cibi di strada più antichi e popolari il riconoscimento di “patrimonio culturale dell’umanità”. Nell’elenco, oltre alle patate cotte nella cenere e allo stufato di tofu, compaiono anche fritti a base di formiche e scorpioni, oltre ai bachi da seta e scarafaggi marinati.
In Europa, a parte qualche ristorante etnico dove pochi coraggiosi possono provare il gusto di ingoiare esotici artropodi, alcuni imprenditori hanno già messo in piedi – con investimenti minimi – allevamenti di insetti da usare come mangime per animale, soprattutto pesci. Infatti, frantumati e trasformati in mangime, gli insetti ci offrono vantaggi nutritivi senza finire direttamente sulle nostre tavole.
Le norme sono ancora piuttosto rigide e al momento le due specie più utilizzate (e che sembrano davvero promettenti) sono i coleotteri della famiglia dei tenebrionidi e le larve delle cosiddette mosche soldato. I primi sono conosciuti soprattutto con il nome di vermi della farina e sono utilizzati some mangime per pesci, sia d’acquario sia ancora da catturare. Al contrario le mosche sono utilizzate più che altro come fertilizzante e concime essendo saprofaghe, cioè che si nutrono di materia organica in decomposizione e letame, ma è probabile che presto finiranno oltre che nelle radici delle verdure che mangiamo anche negli esofagi degli animali da allevamento di cui si nutre l’uomo.
In questo genere di attività sono all’avanguardia Francia e Sud Africa. Nel Paese europeo l’azienda Ÿnsect alleva i vermi della farina, alimentandoli con crusca di grano: l’impianto in Borgogna ha circa 10 mila vassoi in cui sono sistemati miliardi di insetti. Ogni dieci settimane circa un sistema automatico separa le larve adibite alla riproduzione da quelle destinate a diventare mangime che sono prelevate, pulite, uccise con vapore bollente e in seguito frantumate per estrarre l’olio. Al contrario, la polpa è seccata e ridotta in polvere. Mentre l’enorme quantità di escrementi prodotti diventa fertilizzante, tutto il resto è venduto come mangime, soprattutto per animali domestici anche se è in forte crescita la fornitura agli allevamenti di salmoni e trote.
Attualmente la produzione mensile della Ÿnsect è di circa 30 tonnellate di mangime al mese ma gli affari vanno decisamente bene visto che è in programma la costruzione di un nuovo stabilimento che dovrebbe produrre 1.500 tonnellate al mese di mangime.
Si trova invece in Sud Africa l’altra grande azienda del settore, la AgriProtein che invece produce mangime allevando mosche soldato nere. La gestione di questi insetti è più complessa delle larve, poiché si muovono di più e sono molto più attivi. Alle femmine vengono fatte deporre le uova su migliaia di vassoi posizionati alla base di grandi “gabbie” che contengono milioni di mosche ognuna. Regolarmente i vassoi vengono asportati per permettere alle larve di crescere: in seguito sono trasformate in mangime con un procedimento simile a quello attuato in Francia. L’alimentazione delle larve sudafricane è costituita da una miscela di sangue proveniente dai macelli miscelato con crusca, mentre gli insetti adulti sono nutriti con latte in polvere, melassa e zucchero. In tempi recenti AgriProtein ha brevettato per le sue mosche un nuovo mangime, ovviamente segreto. Inoltre, è allo studio la possibilità che l’allevamento di mosche possa presto diventare la destinazione ultima di rifiuti organici e acque reflue, cibo perfetto per i miliardi di mosche che adorano quel genere di cibo, anche se ancora molto c’è da fare per eliminare da feci e orine umane i residui di medicinali (soprattutto gli ormoni degli anticoncezionali e della crescita) e droghe di ogni tipo per evitare che giungano fino all’uomo attraverso gli animali nutriti dalla AgriProtein.
La velocità di riproduzione degli insetti, le loro dimensioni, la facilità di gestione e soprattutto il basso costo per il loro allevamento possono portare indubbi benefici ambientali ed economici. Se in un futuro forse non così lontano fosse normale per l’uomo nutrirsi di larve e mosche in sostituzione di bovini e suini, il vantaggio sarebbe davvero enorme, con riduzione evidente dell’inquinamento dell’aria e dei gas serra emessi in atmosfera, minimi costi per l’alimentazione e il trattamento post mortem degli insetti, un bassissimo impatto sull’ambiente e – perché no? – nessun effetto sui sensi di colpa del genere umano, sempre più sensibile nei confronti di conigli e agnelli ma non ancora così attento alle esigenze di esseri viventi come coleotteri e scarafaggi.