Il “Coach and Horse” è uno dei pub storici di Londra: nato alla fine della seconda guerra mondiale al piano terreno di un edificio del XVIII secolo, le sue sale erano il punto di ritrovo per un salotto letterario animato dal giornalista Jeffrey Bernard e dalla redazione del settimanale “Private Eye”. Qualche anno fa, intuendo prima degli altri l’avvento di una nuova “tribù” del cibo, il locale si era autodefinito come il “primo pub vegetariano di Londra”.
Ma ora, il 29 di Greek Street, nel quartiere di Soho, dalle ferdure ha deciso di spostarsi sulla carne, diventando uno degli indirizzi più “hot” della capitale inglese e una delle esperienze che le guide turistiche - non tutte, sia chiaro – elencano fra quelle da non perdere. Prima di entrare fra i legni storici del Coach and Horse, in alcune sere precise agli avventori è chiesto di spogliarsi completamente. Un’idea che è piaciuta tantissimo alla comunità dei naturisti londinesi, sempre più folta, scatenando anche la curiosità di tutti gli altri, quelli che non avevano mai pensato a quanto diverso potesse essere sorseggiare una pinta di birra senza nulla addosso.
Tutti si deve ad una recente autorizzazione al nudismo ottenuta dal Coach & Horses dopo una lunga diatriba legale e giudiziaria. Alastair Choat, l’attuale padrone di casa, è convinto che tutto faccia parte dell’atmosfera liberal che si è sempre respirata all'interno del locale. Forse mai così tanto liberal.
E dire che tutto è iniziato come una forma di protesta, con una nudità non totale dei dipendenti, sulla falsa riga di pellicole come “Full Monty” e Calendar Girls”, un'idea ad effetto per raccogliere aiuti e donazioni per combattere un’imminente acquisizione da parte della “Fuller’s”, un birrificio londinese proprietario del pub dal 2011 e pare per nulla intenzionato a rinnovare il contratto d’affitto. “In tempi come questi, di reale disperazione nel tentativo di difendere qualcosa di valore, ho pensato di attingere alla tradizionale predisposizione britannica della nudità”. Il personale e i clienti abituali sono stati coinvolti e il pub ha prodotto un calendario, con il 10% dei profitti destinati anche a “Centrepoint”, un’organizzazione benefica che si occupa di senzatetto.
Per arrivare alle sere del “naked pub” è stato necessario richiedere un’autorizzazione speciale, simile alle licenze rilasciate ai locali per adulti: “La presenza di persone nude, in un ambiente consensuale, è specificata all’ingresso. Bisogna anche trovare il personale adatto, perché ovviamente il team deve essere a proprio agio senza abiti addosso. Ma ad essere onesti, dopo al massimo 20 minuti nessuno si accorge più di nulla. È come andare in un pub dove c’è una band che suona e non ti piace: dopo un po’ è solo musica di sottofondo”.