C’è chi ancora non si è ripreso, dal dolore immenso provato il 16 agosto 1977: alle 15:00 esatte, i medici del Baptist Memorial Hospital di Memphis, Tennessee, dichiarano ufficialmente il decesso di Elvis Aaron Presley, ritrovato agonizzante poche ore prima nel bagno della sua residenza di Graceland, a Memphis, Tennessee. Aveva 42 anni e il mondo ai suoi piedi: era acclamato ovunque come leggenda vivente, e nessun aggettivo superlativo per lui era considerato un’esagerazione. In 24 anni di carriera, “The King” aveva inciso 61 album, venduti in oltre un miliardo di copie, e incantato migliaia di spettatori, letteralmente rapiti dai movimenti malandrini del suo bacino, mostrando la strada a centinaia di artisti che dopo di lui hanno creato la lunga storia della musica rock. Era nato nella modesta Tupelo da due genitori che sbarcavano il lunario come potevano, e il 18 luglio del 1953, per fare un regalo all’amatissima mamma Gladys, era entrato alla “Sun Records” di Sam Phillips per incidere un 45 giri da regalarle: due anni dopo Elvis era già in cima al mondo.