Già nei pressi del casello di Napoli, all’uscita dell’Autostrada del sole, si erano accalcate centinaia di persone in attesa del carro funebre che per l’ultima volta riportava nella sua città natale Totò, il principe della risata. Era il 17 aprile 1967: il principe Antonio de Curtis, una delle più grande maschere napoletane, era morto due giorni prima nella sua abitazione di Roma per un attacco di cuore. Due giorni dopo, malgrado avesse espresso la volontà di non avere neanche un funerale, Totò ne avrebbe avuti tre: alle 11:20, la salma era stata portata nella chiesa di Sant’Eugenio, in viale Belle Arti, a Roma, per la benedizione, partendo subito dopo per Napoli. Nel capoluogo partenopeo, davanti alla basilica del Carmine Maggiore, si erano radunate 3mila persone, ma altre 100mila si accalcavano a poca distanza. A salutare il feretro, su cui qualcuno aveva poggiato la bombetta e un garofano rosso, un lungo applauso, coperto a stento dalle campane. Il terzo funerale nel rione Sanità, il suo quartiere, il 22 maggio successivo, qualche giorno dopo la trigesima. Il suo lascito artistico, in mezzo secolo di carriera, sono 50 commedie teatrali e 97 film, rivalutati dalla critica solo dopo la sua morte.