Mancava poco che il campanile di piazza Marina, a Palermo, battesse le 21 del 12 marzo 1909. Quattro colpi di pistola riecheggiano nell’aria e gettano nel panico la gente che aspetta il tram al capolinea. A terra, a poca distanza, resta un uomo per cui non c’è più niente da fare: colpito al collo, alle spalle e alla testa, muore poco dopo. Nessuno, in quei momenti, riconosce la vittima: Joe Petrosino, poliziotto di New York in lotta contro la mafia, giunto a Palermo in segreto per assestare un colpo mortale a Cosa Nostra. Era nato a Padula, nel salernitano, ma a 13 anni era partito per l’America con tutta la famiglia, trovando alloggio a “Little Italy”. Joe alterna lavori come lustrascarpe e la consegna dei giornali, ma quando riesce ad ottenere la cittadinanza entra nella nettezza urbana, diventando quasi subito un informatore della polizia, alle prese con l’invasione degli italiani. Arruolato in polizia non senza vincere le resistenze di tanti, riceve il grado di sergente dal presidente Roosevelt per alcune brillanti operazioni, e poco dopo gli affidano l’Italian Squad, una squadra di cinque poliziotti italiani che conoscevano la lingua, avevano imparato i metodi e potevano infiltrarsi negli ambienti malavitosi. Per il ghetto italiano di New York, il limite era stato superato: Joe era diventato uno scomodo connazionale, da eliminare al più presto.