Il copione è sempre lo stesso: Harvey Weinstein si presenta in tribunale camminando a fatica, fra due ali di folla da cui partono fischi e qualche insulto. Nulla che impedisca alla corte di entrare nel vivo del processo più atteso dell’anno, quello che vede alla sbarra l’ex produttore di Hollywood, accusato di essere stato uno stupratore seriale.
Il vice procuratore distrettuale di New York non fa sconti: “Nel corso del dibattimento vedrete che quell’uomo seduto in un lato dell’aula, nonostante le apparenze non è un anziani inoffensivo, ma un predatore sessuale e stupratore”.
Ad accusarlo una schiera di 80 donne formata da attrici ed ex dipendenti delle società di Weinstein. La difesa ha subito tentato di giocare la carta a sorpresa, assicurando di essere in possesso di diverse “email affettuose” scambiate fra l’ex produttore e le sue vittime, “che a breve saranno in aula per accusarlo”. Alcune, afferma l’avvocato Damon Cheronis, “si vantavano di avere una relazione sessuale con lui”. A gelare l’attacco a sorpresa ci ha pensato il giudice James Burke, che ha impedito alla difesa l’uso delle email, permettendo solo di fare riferimento generico alla “sostanza e al loro contenuto”. È la seconda sconfitta della difesa di Weinstein, dopo il fallito tentativo di spostare la sede del dibattimento da New York ad un’altra sede, dove secondo gli avvocati dell’ex produttore l’impatto mediatico ha trasformato il caso “in un carnevale”.
In compenso, a giudicare l’ex re mida di Hollywood nelle sei settimane previste del processo sarà una giuria sulla carta non così ostile, formata per metà da maschi bianchi, un solo uomo di colore e cinque donne.
Weinstein deve rispondere dello stupro di una donna avvenuto in una stanza d’albergo di New York nel 2013 e di aver costretto un’altra donna ad atti sessuali nel 2006. Accuse pesanti, che potrebbe valergli una condanna all’ergastolo. Lui ha ribadito che in entrambi i casi si trattava di rapporti consensuali. Nel corso dell’udienza è stata resa nota l’identità di una delle due che lo accusano: Jessica Mann, aspirante attrice finita nella rete dell’allora potente padrone della “Miramax”.
Quello ad Harvey Weinstein è il secondo processo dell’era #MeToo dopo quello dell’attore Bill Cosby, condannato per stupro nel 2018.