Il “Black book” di Jeffrey Epstein è uno dei documenti più maledetti mai scritti: in 97 pagine racchiude i nomi, i numeri di telefono e gli indirizzi dell’élite delle amicizie personali del miliardario pedofilo. L’opinione pubblica è venuta a conoscenza del libro per la prima volta nel 2015, quando il sito web “Gawker” ha pubblicato una versione che mostrava solo alcuni nomi, numeri di telefono ed e-mail erano stati oscurati. È apparso in pubblico per la prima volta in un’aula di tribunale nel 2009, dopo che l’ex maggiordomo del finanziere morto suicida in carcere, Alfredo Rodriguez, aveva tentato di venderlo per 50mila dollari agli avvocati che rappresentano le vittime di Epstein: grazie al goffo tentativo ha rimediato una condanna a 18 mesi di carcere. In tribunale, ha raccontato che il libro era “la polizza assicurativa” di Epstein.
Rodriguez è morto di mesotelioma poco dopo aver scontato la sua pena, ma prima di andarsene è riuscito a descrivere il libro come una sorta di “Sacro Graal”: è zeppo di annotazioni a volte criptiche, frecce, rimandi e i nomi di almeno 38 persone sono cerchiati, per ragioni al momento non del tutto chiare. In tutto racchiude 1.571 nominativi, con circa 5.000 numeri di telefono e migliaia di indirizzi e-mail e di casa. Ci sono celebrità, principi e principesse, scienziati di alto profilo e artisti di tutto il mondo, insieme ad alcuni dei più potenti oligarchi e leader politici come il principe Andrea, Ehud Barak e Donald Trump, tutti e tre cerchiati in rosso.
Rodriguez è stato il maggiordomo di Epstein nella sua villa di Palm Beach per molti anni, conosceva le inclinazioni sessuali del capo e ha ammesso di averlo visto più e più volte nella piscina della residenza in compagnia di ragazzine nude. Alla fine toccava a lui ripulire tutto e sistemare la collezione di sex toys dopo i celebri “massaggi” che rappresentavano l’esca con cui attirare ragazzine nella ragnatela malefica della pedofilia.
Un documento così scottante e pericoloso da essere finito nel “deep web”, dove un giornalista di “Mother Jones”, periodico investigativo americano, è riuscito a entrarne in possesso, passando una settimana intera a chiamare quell’enormità di numeri spesso anonimi, per scoprire chi c’era dall’altro capo del telefono.
Diversi numeri non erano più attivi, ma tanti al contrario sono diventati una miniera di informazioni, compresa una telefonata misteriosa di un uomo che si era qualificato come agente FBI e avvisava il reporter di “telefonate fraudolente”, salvo poi riattaccare di colpo. Era la conferma che il terreno su cui si stava muovendo era un campo minato assai pericoloso.
“Mi sono seduto sul divano di casa e ho iniziato a telefonare a reali, ambasciatori, finanzieri, modelle, amministratori delegati, celebrità, scienziati e rockstar. Il black book di Epstein non è affatto piccolo, è gigantesco: la caratteristica principale è l’estrema varietà, contiene numeri inutili e altri parecchio interessanti. Ma è bene ricordare che comparire nella rubrica di Epstein non è prova di un crimine, di complicità o di conoscenza dei fatti.
Gli elenchi a volte sono assurdamente dettagliati, spesso contengono nomi e numeri aggiuntivi per i contatti di emergenza, il tutto accanto a centinaia di altri che fanno capo ad auto, yacht e uffici privati. Per alcuni sono indicati decine di numeri e indirizzi, mentre altri si limitano ad un solo numero e un solo nome.
La chiamata peggiore è stata quella di una donna che mi ha rivelato di essere stata palpeggiata da Epstein, episodio che non ha denunciato per timore di ritorsioni da parte del potente magnate.
Tanto per raccontarne qualcuna, ho chiamato Doug Band, consulente di lunga data di Bill Clinton, ma era il numero dell’abitazione di famiglia: ha parlato con suo padre per qualche minuto, sembrava una brava persona. Per conto di Jimmy Cayne, ex amministratore delegato della “Bear Stearns”, ha risposto la moglie che quando ha sentito nominare Epstein ha preferito tagliare corto: “Non abbiamo commenti da fare”. Il numero di Peter Roth, presidente e CEO della Warner Bros, è passato al figlio, che si è subito tirato fuori: “Non voglio essere coinvolto in questa storia”, Robert Meister, ex presidente della “Aon insurance”, è stato lapidario: “Era una persona malata”. Kerry Kennedy, presidente di “RFK Human Rights”, era in elenco come contatto di emergenza per Robert F. Kennedy Jr. e Mary Kennedy, mentre quello che faceva capo a Rupert Murdoch, presidente esecutivo della News Corp era n realtà del suo assistente personale. Ho chiamato al numero personale di Melania Trump, ma c’era sempre la segreteria telefonica, poi ho mandato un messaggio al mago David Copperfield: “Dobbiamo parlare di Epstein”, ma non mi ha mai risposto.
Poi è arrivato Stuart Pivar, 90 anni, scienziato, collezionista d’arte e fondatore insieme a Andy Warhol della “New York Academy of Art”, che ha ammesso: “Jeffrey Epstein è stato il mio migliore amico per decenni, ma era un uomo molto malato: soffriva di satiriasi, la forma maschile della ninfomania. Era ossessionato dal sesso e doveva farlo almeno tre volte al giorno, ma aveva una cultura immensa e una rara prontezza mentale. Quel che ne resta sono sgualdrine allora sedicenni che malgrado sapessero cosa le attendeva continuavano ad andare a casa sua ogni santo giorno, e adesso si lamentano nella speranza di farci dei soldi”.
Ma quelle del black book non sono tutte celebrità, per fortuna. Ho avuto piacevoli conversazioni con persone normali che avevano lavato una macchina o fatto un trattamento al viso a Epstein. E tanti, tantissimi, mi hanno detto che non conoscevano Jeffrey di persona, ma Ghislaine Maxwell, la sua fidata “talent-scout”, da molti definita uno “squalo famelico” che ora è rinchiuso nell’acquario del Metropolitan Detention Center di Brooklyn in attesa di un processo che forse le regalerà il carcere a vita.