“A sprezzo del pericolo, l’artificiere di Stato Conte Giuseppe non esitava a gettarsi nella fossa dove due incauti compagni di battaglione avevano inavvertitamente sistemato un ordigno pronto ad esplodere. Incurante delle conseguenze, Conte Giuseppe disinnescava l’ordigno a pochi secondi dall’esplosione, salvando le umane genti circostanti”. Se un giorno il premier si beccherà una medaglia e un encomio solenne, questa potrebbe essere la motivazione ufficiale, letta da qualche generale mentre in cielo passano le Frecce Tricolori.
Non sarà così, quasi certamente. Ma la missione di Conte, al contrario, era esattamente solo una: sedare la rissa fra Salvini e Di Maio, nessuno dei due disposto a cedere di fronte alla Tav, almeno di fronte ai rispettivi elettorati. Ma facendo anche in modo che ambedue potessero dirsi vincitori della disfida di Chiomonte.
Non era facile, va ammesso. C’era di mezzo una crisi sfiorata, per qualche ora addirittura palpabile, con nervi tesi, minacce, musi lunghi e nervosismo. Poi Conte, l’avvocato solo di una parte degli italiani - è bene chiarirlo - ha tirato fuori l’unica carta possibile, che ancora una volta non decide niente ma rimanda, come sempre, a data da destinarsi. In una lettera inviata a “Telt” (Tunnel Euralpin Lyon-Turin), il premier ha chiesto alla società che si occupa dei lavori della Tav di non far partire i capitolati di gara senza l’avallo dei governi di Italia e Francia. Al loro posto, per non perdere i finanziamenti europei già stanziati, sono però stati autorizzati gli avvisi di gara per 2,3 miliardi di lavori del tunnel di base, con la clausola di dissolvenza a cui appellarsi per “ridiscutere integralmente” il progetto. Dove sia la differenza non è chiaro, ma fosse l’unica cosa non chiara, potremmo farcene una ragione.
Eppure, senza star lì a sprecare righe elencando le lamentele di chi vuole la Tav (compresa la nuova discesa in campo delle “Madamin”, a cui si riferiscono le foto), i proclami vittoriosi dei pentastellati e la granitica convinzione dei leghisti di essere sempre e comunque quelli dalla parte giusta, Conte è riuscito nell’impresa di darsi tempo per preparare massicce dosi di sedativi, nascosti sotto la frase “necessità di ridiscutere l’opera con la Francia e la commissione UE”. Altro modo, per rallentare la corsa verso il baratro su cui si erano imbarcati i due vicepremier, che ormai litigano un giorno sì e l’altro pure, non c’era.
Quelli cattivi, che in questo paese ci sono eccome, ricordano “en passant” che a fine marzo Salvini sarà costretto a superare il voto del Senato sull’autorizzazione a procedere sul caso della nave Diciotti. Qualcuno deve avergli ricordato il peso dei grillini per salvarlo una seconda volta dal Tribunale di Catania, e lui ha probabilmente scelto sardonicamente di rimandare tutto al termine delle elezioni Europee, quando ogni cosa sarà più chiara e qualcuno potrà iniziare a fare le valigie per tornare a casa. Ma senza passare da Chiomonte.