Ad un mese esatto dalla tragedia del ponte Morandi di Genova e dalle commemorazioni previste per oggi, si scopre che le vittime del viadotto sono molte di più dei 43 morti di quel giorno di mezza estate.
C’è chi vittima in realtà non lo è perché non è caduto nel vuoto, ma è un semplice effetto collaterale di una tragedia che non dimenticherà mai. Sono così le centinaia di sfollati, che hanno dovuto dire addio alla propria abitazione - e siccome siamo in Italia - non sanno quando e se ne avranno un’altra. Poi ci sono le storie più piccole, infinitesimali, come quella di Adele, nome finto scelto da Tgcom24 per raccontare la storia di una ragazzina genovese che quel giorno, alle 11:36 del 14 agosto, stava guardando dai vetri della finestra della sua cameretta di uno dei tanti condomini sorti come funghi all’ombra del “ponte di Brooklyn” dei genovesi.
Adele ha visto tutto: le nuvole di fumo, il pronte sbriciolarsi, le auto e i camion cadere giù. Ha urlato, ed è stato l’ultimo suono uscito dalla sua gola. Da quel giorno, Adele non parla più.
Per comunicare con i genitori e il mondo intero usa i disegni. La stanno seguendo un’intera equipe di psicologi di “Emdr Italia”, che parlano di “un blocco che è peggiorato quando la famiglia di Adele è stata costretta a lasciare l’abitazione in cui viveva. Se è complicato per un adulto, immaginiamo per una bambina che in più aveva anche assistito al crollo”. Ma le speranze che Adele torni alla normalità ci sono tutte: si tratta di un blocco temporaneo, assicurano gli esperti. Anche se quel giorno non lo dimenticherà mai.