Nove mesi di silenzi, speranze, piste false e indagini non tolgono dal nome di Silvia Romano l’angoscia di sapere che fine ha fatto la cooperante milanese di 23 anni, svanita nel nulla il 20 novembre scorso da un villaggio in Kenya. Ma qualcosa inizia ad emergere dalle indagini della procura di Roma, affidate al sostituto procuratore Sergio Colaiocco.
Una delle poche certezze, quello che era stato un sospetto fin dall’inizio della vicenda: Silvia era viva almeno fino a Natale, ma sarebbe stata portata in Somalia poco dopo dalla banda che l’aveva rapita in un centro commerciale di Chacama, a 80 km circa da Nairobi, dopo averla pedinata per alcuni giorni. Si fa strada l’ipotesi di un sequestro su commissione, come dedotto dalla quantità di armi e mezzi di cui disponeva il commando formato da otto persone, giudicata “sproporzionata” per le normali dotazioni delle bande di malviventi che si aggirano per il Paese. Il sospetto del trasferimento di Silvia arriva dal controllo dei tabulati telefonici sui cellulari dei rapitori, che mostrano diverse chiamate in arrivo e partenza dalla Somalia.
Restano nelle carceri kenyane e attualmente sotto processo Abdullah Gaba Wario, Moses Luwali Chembe e Said Adhan Abdi, tre uomini accusati di aver partecipato al sequestro, che devono rispondere anche di terrorismo.
Si tratta dei primi effetti della collaborazione che si è instaurata fra gli investigatori italiani e quelli kenyani, che a quanto si apprende avrebbero in programma per la prossima settimana un nuovo vertice.