ALBERTO C. FERRO
Nella notte tra il 30 aprile e il 1 maggio, esattamente un anno fa, nella Svizzera Vallese, sì consumò una tragedia della montagna tra le più gravi degli ultimi decenni, per il numero delle vittime (7) e le per le circostanze particolari in cui avenne, non scevre di polemiche e di strascichi legali. Sui quali non si sa ancora nulla di preciso. Tempo fa la procura del Vallese, che aveva aperto un fascicolo, aveva lasciato trapelare che non erano state evidenziate responsabilità nei confronti della guida alpina, Mario Castiglioni, 59 anni, esperto alpinista e organizzatore della traversata tra Chamonix e Zermatt, uno dei percorsi di sci-alpinismo tra i più frequentati e suggestivi del mondo.
Per rispetto delle vittime e dei loro familiari, non ci addentreremo negli aspetti legali, preferiamo solo soffermarci sulla memoria e sul ricordo di sette persone un po’ speciali, che amavano la montagna e furono tradite da una tempeste di eccezionale violenza a poche decine di metri dalla salvezza. Dopo una terribile notte all’addiaccio, immersi nel gelo, furono stroncati dall’ipotermia.
Mario e Ludmila
La guida Mario Castiglioni, di Como ma residente da anni in Svizzera, colui che si all’ultimo tentò, nella morsa del micidiale "whiteout", di trovare la strada del vicino rifugio; la moglie di origine bulgara Kalina Damyanova, 52; i coniugi di Bolzano Marcello Alberti, 53, rimasto sino all’ultimo vicino alla moglie agonizzante Gabriella Bernardi, 52, lui noto commercialista, lei dirigente della Thun; la 42enne Francesca Von Felten, di Parma, madre e sposa modello, trovata ancora in vita ma poi morta in ospedale, nonostante le terapie d’avanguardia dei medici svizzeri, tra i più esperti nell’affrontare l’ipotermia; l’insegnante di Bolzano Elisabetta Paolucci, 44 anni, anche lei esperta alpinista; Andrea Grigioni, 45 enne residente a Lurate Caccivio (Como), infermiere in una clinica ticinese, avrebbe dovuto avere al suo fianco il figlio che invece poi restò a casa, salvandosi. Miracolosamente salvo Tommaso Piccioli, amico dei tre bolzanini, un’alpinista tedesca, un 72 enne svizzero e tre francesi.
Francesca
E fu proprio l’alpinista tedesca, che, protetta dall’anonimato, ha voluto dire l’ultima parola, per ora, su questo dramma troppo presto dimenticato: “Non mi sento di dare la colpa a Mario Castiglioni, quella mattina quando siamo partiti dal rifugio Cabane des Dix c’era il sole, anche se le previsioni non erano in genere buone. Ma chi va in montagna deve prendere delle decisioni, lo abbiamo seguito tutti. Se ci fu responsabilità, è stata condivisa. La montagna è imprevidebile, chi la affronta sa cosa può aspettarsi. No, non posso dire che ci furono colpe”.
Castiglioni aveva alle spalle una lunga carriera da alpinista. Con la moglie era titolare dell’agenzia "MLG Mountain", acronimo di Mario La Guida, con sede a Chiasso. Il costo della traversata, poco più di mille euro a persona, comprendeva le soste nei rifugi. In teoria, per scalatori esperti, la spettacolare traversata non presentava particolari difficoltà.
Elisabetta
Ogni anno viene compiuta da un alto numero di appassionati. Ma l’anno scorso le condizioni climatiche erano state molto instabili. Una volta partiti, avevano deciso per aggirare il maltempo di prolungare il percorso e fermarsi in un rifugio della Val Pelline, prima di raggiungere la meta finale, Zermatt. Invece la tempesta di ghiaccio e di vento fortissimo li colse non distanti dal rifugio di Pigne d’Arolla. Non si vedeva più niente, forse sbagliarono direzione, con una temperatura percepita di meno 25 gradi sotto zero.
Gabriella
Castiglioni precipitò in un dirupo mentre tentava di ritrovare il sentiero e morì per ipotermia; la moglie tentò di scavarsi una buca nella neve, ridotta a una lastra di ghiaccio dura come il marmo; gli altri si rannicchiarono tra le rocce dove morirono uno dopo l’altro. Alla mattina alle 7 i soccorritori si ritrovarono di fronte a uno scenario spaventoso, a poche decine di metri di distanza dal rifugio Cabane Des Vignettes. Ci sono stati, nel riserbo, momenti in cui Mario, Ludmila, Marcello, Gabriella, Elisabetta, Andrea, Francesca, sono stati ricordati da familiari e amici. Anche noi, appassionati come loro di montagna, ci uniamo in un commosso ricordo, vicini in particolare ai figli piccoli di Francesca, a tutti.

Stefania Pederiva, la compagna di Tom Ballard, il rocciatore morto con Daniele Nardi, nel Nanga Parbat, a febbraio, aveva scritto poche ore la notizia della loro scomparsa.
"La montagna prende, la montagna dà… Occhi trasparenti come l'anima pura di un ragazzo che viveva per stare nella natura, un viso così dolce non l'avevo neanche mai immaginato e il mio cuore hai subito conquistato, nessuna bontà più grande della tua ho mai conosciuto, forse era troppo per un mondo che non guarda in faccia nessuno. Da un altro pianeta mi sembravi arrivato, forse proprio dalle stelle eri decollato. Tutto in frantumi è ormai andato e il mio cuore è completamente annegato, non ci sono o saranno mai parole adatte a descrivere il vuoto che hai lasciato. Un dolore straziante e una forte rabbia per non aver ascoltato le mie costanti parole che ti dicevano che su quella montagna non dovevi andare, i tuoi sogni non erano lì". Infine: "Ti ritroverò nella natura, nei fiumi negli alberi nelle montagne, tu sarai sempre la mia roccia più bella”.
Non sappiamo neanche bene perché, ma queste semplici parole di Stefania, sembrano idealmente abbracciare anche le vittime di Arolla.