Nel 1974, insieme a Chris Stein, compagno di allora, Debbie Harry fonda i “Blondie”, una band che crea un proprio sound caratteristico mescolando new wave, punk rock e disco. Lei è una bellissima ragazza bionda dalla voce potente che non passa inosservata: diventa la frontwoman e l’anima del gruppo, che nel 1978 esplode nelle classifiche mondiali con “Heart of Glass”, successo bissato nel 1980 da “Call me”.
Oggi Debbie Harry è una signora di 74 anni gelosa della propria vita privata: non ha mai avuto figli, vive a Miami, dov’è nata, circondata da cani e gatti.
Il prossimo ottobre, uscirà “Face It”, l’autobiografia in cui Debbie Harry racconta la nascita e l’ascesa dei “Blondie”, oltre ad una vita piena di successi, delusioni, alti e bassi. Ma proprio in questi giorni, ad anticipare strategicamente l’uscita del libro, sui media americani circola un episodio svelato dall’artista, che sarà raccontato nei dettagli nelle pagine del libro. Era la metà degli anni Settanta a New York, quando insieme all’uomo più importante della sua vita, Debbie era volata a New York per dare forma all’idea della band. Vivevano in un appartamento modesto e la sera andavano in giro per i club alla ricerca di idee e musicisti. Una sera, nella loro abitazione, Debbie e Chris furono aggrediti da un uomo che sotto la minaccia di un coltello li ha prima immobilizzati, quindi ha rovistato ovunque la ricerca di oggetti di valore e prima di andar via l’ha violentata. “Ha fatto un mucchio con le chitarre e la macchina fotografica di Chris che voleva portarsi via, poi mi ha slegato le mani e mi ha ordinato di togliermi i pantaloni. Quando ha finito mi ha detto ‘vai a lavarti’. Ricordo una sensazione nettissima: le chitarre rubate erano state un dolore molto più forte del resto”.
Ma c’è anche un altro episodio inquietante nella vita di Debbie Harry: l’incontro con Ted Bundy, uno dei più celebri serial killer americani, autore di 35 omicidi di giovani donne fra il 1974 ed il 1978. La Harry avrebbe incontrato Bundy mentre tentava di tornare a casa dall’East Village, durante una notte del 1972. Un incontro casuale, nato quando ha accettato l’aiuto di un automobilista sconosciuto che le offriva un passaggio, di fronte all’impossibilità di fermare un taxi. “Si è fermata piccola auto bianca e un ragazzo a bordo mi ha offerto un passaggio. Non gli ho dato retta, sperando che passasse un taxi, ma non era tardi e le strade erano vuote”. Alla fine, Debbie accetta e sale in macchina, ma qualche istante dopo si rende conto che mancavano la maniglia della portiere e la manovella del finestrino. Con una spallata riesce ad aprire la portiera e fugge più velocemente possibile. L’episodio sarebbe finito qui, se Debbie tempo dopo non avesse riconosciuto il viso di Ted Bundy al telegiornale, mostrato dopo la sua cattura, il 15 febbraio del 1978. Il racconto è stato ripreso e analizzato più volte, giungendo alla conclusione che molto probabilmente non si trattava del serial killer giustiziato sulla sedia elettrica il 24 gennaio del 1989, ma di qualcuno che gli somigliava: non esistono prove che Bundy sia mai stato a New York. Ma Debbie non ha mai avuto dubbi: “Era lui”.