DI ALBERTO C. FERRO
Il Dna di Ignoto1 corrisponde in modo perfetto al profilo genetico di Massimo Bossetti e non c'è alcun complotto. Non fu costruito in laboratorio, dopo anni di indagini, un Dna qualunque per incastrare un innocente. E Bossetti dovrà restare in carcere tutta la vita. La sentenza della Cassazione è una pietra tombale sulle sue pretese di innocenza e bisogna leggere le carte per comprendere in pieno il lavoro dei giudici, messo in forse da una martellante campagna mediatica da parte degli innocentisti ad oltranza.
Gli avvocati della difesa cercheranno nuovi elementi per ottenere la revisione del processo (“non è finita”, dicono) ma intanto, oggi, il muratore di Brambate di sopra può essere definito assassino.
Massimo Bossetti rapì Yara la sera del 26 novembre 2010, la colpì alla testa con un manico di zappa (forse), la trasportò sul suo furgone bianco tra le stoppie tagliate del campo di Chignolo d’Isola, e se ne andò lasciandola agonizzante al gelo, dove morì. Il suo cadavere venne ritrovato tre mesi dopo, il 2 febbraio. Nelle 155 pagine scritte dal giudice estensore Stefano Aprile viene motivata la sentenza con cui, lo scorso 12 ottobre, la prima sezione penale della Corte di Cassazione aveva confermato la condanna all’ergastolo.
Tutti respinti di i 21 punti del ricorso presentato dai difensori di Bossetti, Claudio Salvagni e Paolo Camporini: la sentenza d’appello pronunciata dalla Corte d’Assise di Brescia viene definita dagli ermellini "logica e solida". "Numerose e varie analisi biologiche effettuate da diversi laboratori hanno messo in evidenza la piena coincidenza identificativa tra il profilo genetico di Ignoto 1, rinvenuto sulle mutandine della vittima, e quello dell’imputato, e ha valore di prova piena. La probabilità di individuare un altro soggetto con lo stesso profilo genotipico equivale a un soggetto ogni 3.700 miliardi di miliardi di individui". Ancora: “Il profilo genetico è stato confermato da ben 24 marcatori, quando le linee guida della comunità scientifica ne richiedono solo 15. Il dna di Bossetti non era presente nelle banche dati all’epoca disponibili e che sono state ampiamente e ripetutamente consultate proprio allo scopo di identificare Ignoto 1, sicché è impossibile ipotizzare una contaminazione dei reperti prelevati all’inizio del 2011 con il profilo dell’imputato che è stato acquisito soltanto tre anni dopo".
Quindi, tanto per rispondere ai complottisti, Il profilo genetico di Bossetti non era mai stato inserito nella banca dati, dunque sarebbe stato impossibile replicarlo o modificarlo in sede di indagine. Fu scoperto nei laboratori del Ris di Parma e battezzato Ignoto 1. “L’elemento, reso certo dall’elevatissimo numero delle ricorrenze statistiche, è la prova”, scrivono i giudici. "È utile chiarire, visto che la difesa ha utilizzato l’argomento anche in sede extra processuale, che la genericissima ipotesi della creazione in laboratorio del Dna dell’imputato, oltre ad appartenere alla schiera delle idee fantasiose prive di qualsiasi supporto scientifico e aggancio con la realtà, è manifestamente illogica. Infatti, se si volesse seguire la tesi complottistica legata anche alla necessità di dare in pasto all’opinione pubblica un responsabile, è evidente che si sarebbe creato un profilo che immediatamente poteva identificare l’autore del reato senza attendere, come invece è accaduto nel caso di specie, ben tre anni per incolpare Bossetti”.
La saliva di Bossetti, necessaria per effettuare il test, fu prelevata da carabinieri attraverso un alcol-test, apparentemente casuale. Se non fosse stata effettuata questa operazione “il Pubblico ministro avrebbe dovuto procedere all’iscrizione nel registro degli indagati delle migliaia di soggetti ai quali è stato prelevato un campione biologico per confrontarlo con quello di Ignoto 1 poiché ciascuno di loro poteva essere l’assassino".
Infine i dettagli che lo inchiodano per sempre a uno degli assassinii più efferati e crudeli della storia giudiziaria italiana. I tempi dell’azione concordano con gli orari del rientro a casa dopo il delitto, attorno alle 20, 20:15. La calce trovata nelle ferite della vittime è perché la lama usata da Bossetti per ferire Yara proveniva dal cantiere; i passaggi del furgone ripresi dalla videocamere di sicurezza confermano la sua presenza nei dintorni della palestra da dove uscì la ragazzina per tornare a casa. La mazzata finale arriva dalla testimonianza della moglie, Marita Comi. A lei Bossetti non riuscì a spiegare cosa fece in realtà quel pomeriggio. Zero alibi.