La polizia ha aperto un’indagine sulla morte di Irina Slavina, giornalista che guidava la direzione di “Koza.Press”, un piccoli sito d’informazione locale conosciuto per il motto “senza censure e ordini dall’alto”.
La donna si è data fuoco davanti alla sede del ministero degli interni, a Nizhnij Novgorod, città a circa 400 km da Mosca: malgrado i soccorsi e il tentativo di salvarla dalle fiamme, è morta sul posto per le gravi ustioni riportate. Poco prima del gesto, aveva lasciato un posto inquietante sulla sua pagina Facebook: “Vi prego, date la colpa alla Federazione Russa per la mia morte”.
Dalle prime indagini è emerso che il giorno precedente alla morte, uomini dei servizi segreti russi avevano perquisito il suo appartamento, alla ricerca di “materiale propagandistico” del gruppo di opposizione governativa “Open Russia”, finanziato dal magnate Mikhail Khodorkovskij. La donna aveva denunciato il sequestro di tablet, computer e cellulari di tutta la famiglia.
Immediata la reazione dei fronti di opposizione, che hanno rivelato le “pesanti pressioni e persecuzioni” a cui nei mesi scorsi era stata sottoposta la giornalista per la sua costante attività contro il Cremlino guidato da Vladimir Putin.
In una recente intervista rilasciata ad un sito, la Slavina aveva dichiarato: “Il governo sospetta che Open Russia finanzi le proteste le proteste di massa a Nizhnij Novgorod contro lo sviluppo predatorio del parco Svizzero, una delle aree verdi più iconiche della città. Ma non è così: la gente partecipa volontariamente e ogni martedì si crea una “catena umana” vicino al parco. Come giornalista, non potevo ignorare tutto questo, e ne ho scritto, partecipando io stessa per due volte alle proteste, perché quello che accade riguarda anche me, come cittadina e come giornalista”.