L’ora è fissata: alle 10:30 di lunedì mattina, Vanessa Baraitser, giudice dell’Old Bailey, il tribunale penale di Londra, leggerà la sentenza destinata a stabilire il destino di Julian Assange, il fondatore di “WikiLeaks”. Il rischio peggiore – e pare più probabile - per il giornalista è l’estradizione per gli Stati Uniti, che lo aspettano a braccia aperte per processarlo con 18 capi d’accusa, di cui ben 17 legati allo spionaggio, reato perseguibile secondo l’Espionage Act che potrebbe costare ad Assange una condanna a 175 anni di carcere.
Il giornalista e blogger australiano, 48 anni, nel tempo diventato simbolo mondiale della libertà di stampa, è accusato di aver cospirato contro gli Stati Uniti in combutta con Chelsea Manning, l’ex analista militare che avrebbe passato ad Assange materiale e documenti coperti da segreto di Stato e considerati sensibili per la sicurezza nazionale. Ma negli ultimi mesi, il Dipartimento di Giustizia americano ha accusato il giornalista di aver reclutato “hacker” per scovare informazioni riservate da pubblicare, violando le durissime leggi statunitensi. Accusa che i legali di Assange respingono giudicandole “politicamente motivate”, per poi aggiungere che il loro assistito – arrestato nell’aprile 2019 dopo 7 anni trascorsi nell’ambasciata dell’Ecuador di Londra – sarebbe in pessime condizioni di salute.
A poche ore dalla sentenza dell’Old Bailey sono numerose le petizioni e le raccolte di firme che arrivano da ogni parte del mondo in cui si sottolinea che l’eventuale condanna equivarrebbe ad una pena capitale protratta nel tempo.
A parte i problemi interni, sono in molti a considerare il caso Assange come il primo banco di prova del presidente Biden, che rischia di incappare veder bollare gli Stati Uniti come Paese contro i diritti umani e la libertà di informazione.
John Shipton, padre di Julian Assange, ha lanciato un appello dalle pagine dell’Indipendent in cui parla di “vendetta per aver rivelato al mondo crimini di guerra americani”. Prima di lui, l’8 dicembre scorso, Nils Mezer, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla pratica della tortura, aveva chiesto ufficialmente il rilascio immediato di Assange per il rischio di contrarre il Covid: “Il signor Assange non rappresenta una minaccia per nessuno, quindi il suo prolungato isolamento in una struttura di massima sicurezza non è necessario, motivato e proporzionato”.