Sono oltre 10mila, i giornalisti e gli editori cinesi di 14mila media che stanno per sottoporsi ad un esame voluto da Pechino per misurare il loro grado di lealtà al presidente Xi Jinping. L’esame, annunciato da mesi, si articola su cinque sezioni, due espressamente dedicate al pensiero politico del premier, una sul marxismo, una sulla storia del Paese. In palio c’è il rinnovo o il ritiro del tesserino per altri cinque anni, quando dovrà nuovamente dare prova della propria preparazione e delle fedeltà.
Ai rappresentanti dei media è stata dedicata “Xuexi Quiangguo” (letteralmente, “studio per rafforzare il Paese”), una app di preparazione all’esame redatta con la massima cura dal dipartimento per la propaganda del Partito Comunista, che presenta esempi di articoli, interviste e inchieste “allineate” a quello che Pechino si aspetta dai media. Per qualcuno, una sorta di “Libretto Rosso” di Mao in versione 2.0, per altri, l’ennesimo atto di un atteggiamento repressivo verso la libertà di stampa. Materia in cui la Cina, secondo la classifica di “Reporter senza frontiere”, è al 177esimo posto su 180 paesi: quest’anno, Google, Facebook e il New York Times sono inaccessibili per i cinesi.
Ovviamente, la app è in grado di monitorare in tempo reale i progressi di chi si esercita, fornendo una prima indicazioni alle commissioni di esame sui soggetti da tenere sotto sorveglianza. Per chi non supera l’esame al primo colpo c’è la possibilità di ripeterlo, ma è l’ultima change: al secondo fallimento, meglio cambiare mestiere.