C’era un tempo, neanche tanti anni fa, in cui avere un’edicola faceva gola e non era affatto semplice: per quanto impegnativo, era una mestiere che garantiva uno stipendio dignitoso e una sorta di buonuscita finale che in base alle zone poteva sfiorare i 300mila euro. Tutto finito: un capitolo morto. Oggi, secondo dati aggiornati, ne chiudono due al giorno e quelle che restano sono in preda alla disperazione perché nessuno le vuole più. Chi cede la licenza per 5mila euro può ritenersi fortunato.
La colpa, anche se forse colpa non è, si collega alla spaventosa crisi della carta stampata, che ha drammaticamente perso la battaglia contro lo strapotere del web: veloce, tempestivo e in massima parte gratuito. Sono lontane le cifre record del 1992, quando i giornali in edicola segnano il massimo della loro esistenza: 6 milioni e ottocentomila copie vendute al giorno. Ma quello era l’anno di “Tangentopoli” e non c’era pubblicazione che non avesse in allegato libri, film in VHS, giochi a premi e gadget di qualsiasi tipo.
Ora mette perfino un po’ di tristezza, pensare al milione e ottocentomila copie fatto registrare lo scorso anno, forse il punto più basso della carta stampata. In nemmeno 26 anni, scrive “Repubblica”, i quotidiani hanno perso per strada 5 milioni di copie, una cifra sufficiente a falcidiare una dopo l’altra le testate con le spalle meno solide, ma anche a mettere a rischio i colossi dell’editoria, costretti a drastici tagli del personale e delle tirature. Un’emorragia continua e incessante che come un’onda anomala si è abbattuta con forza su tutto il settore, dai giornalisti ai poligrafici, dalle agenzie fotografiche alle edicole, appunto.
Il giro di boa e le prime avvisaglie della crisi iniziano nel 2001, quando l’Italia poteva vantare 36mila edicole, una ogni 1.500 abitanti: in 16 anni appena, nel 2017, ne erano rimaste 15.876, una ogni 4.000 persone. Oggi, neanche due anni dopo, secondo una stima della Federazione di categoria, le edicole presenti sul territorio italiano non superano le 11mila unità, e la discesa non è ancora finita. È vero, qualcuno ricorda che grazie alla liberalizzazione del decreto Bersani i giornali si vendono nei supermercati, negli autogrill e nei bar, ma tanto non è bastato a ridare fiato al comparto dell’editoria.