La “sharia”, la legge di Dio che regola quelle degli uomini, prevede la pena di morte per omicidio, stupro, rapina, stregoneria, adulterio, traffico di droga, sodomia, omosessualità, sabotaggio e apostasia. I condannati muoiono per crocifissione, lapidazione o decapitazione, il metodo più applicato.
Un macabro rituale che, secondo un rapporto dell’organizzazione umanitaria “Human Rights” presentate al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite riunito a Ginevra, in Arabia Saudita si è ripetuto per 148 volte nel 2018, ma che quest’anno sta vivendo una preoccupante impennata: 134 esecuzioni e altri tre mesi prima della fine dell’anno che non promettono nulla di buono per i 46 condannati alla pena capitale attualmente chiusi nelle galere saudite. Se fossero eseguite tutte si toccherebbe la cifra record di 180 esecuzioni.
Tutto questo malgrado la vana promessa di MbS, il principe Mohammed bin Salman, di dimostrarsi più clemente. Nulla di tutto questo secondo la denuncia di Human Rights, che parla di numerosi casi di condannati appena 18enni, diversi dei quali crocifissi e orribilmente mutilati sulla pubblica piazza, perché sia da monito a tutti. Il rapporto cita i casi di Abdulkareem al-Hawaj eMujtaba al-Sweikat, di 16 e 17 anni, arrestati perché partecipanti a proteste di piazza e decapitati dopo aver subito pesanti torture fino a farli confessare reati mai commessi.
A preoccupare, prosegue l’organizzazione umanitaria, non è solo la continua violazione dei diritti umani, ma anche il silenzio complice delle grandi potenze mondiali, succubi del petrolio saudita e in affari con la famiglia reale.