L’ATENIESE*
La politica estera del governo giallo-verde continua ad inanellare fallimenti, così gravi da riflettersi anche sulla stabilità economica del nostro disgraziato Paese. E’ di queste ore la notizia che il generale Haftar, sostenuto dai francesi, sembra deciso ad occupare Tripoli. Il Presidente Al Serraj, su cui il governo giallo-verde ha puntato le sue carte appare ormai alle corde. In Venezuela il vicepremier Di Maio, ricevuto a Washington dal consigliere per la sicurezza John Bolton, se n’è uscito con una battuta, a proposito della crisi Venezuela: “Non riconosciamo Maduro” che è un modo come un altro per dire di non avere nessuna intenzione di riconoscere il presidente ad interim Juan Guaido, appoggiato invdce da 57 Paesi, compresi i partner più importanti della UE. Una capriola, l’ennesima, che riduce l’Italia a una caricatura, con una politica estera confusa e velleitaria, vedi la “via della seta” con la Cina. Ma la Libia sarà la vera Caporetto di una Farnesina ostaggio, come Conte, delle spinte populiste e sovraniste di una maggioranza divisa su tutto ma unita solo dal collante di un potere fine a se stesso.
A dicembre il presidente Conte era andato a Tripoli per legittimare il presidente Al Serraj e il presidente dell'Alto Consiglio di Stato, Khaled Al Meshri. Aveva auspicato il 2019 come "l'anno della svolta" per la Libia. "Non vogliamo decidere le sorti del popolo libico, ma come Paese abbiamo a cuore le sue sorti ed è questa la ragione per cui ci siamo incontrati a novembre a Palermo e per cui oggi sono qui: c'è una premura dell'Italia di offrire un contributo affinché possiate trovare un percorso di pace e di stabilità”. Non pago, e irriso da Haftar che stava già organizzando le sue milizie, aveva ribadito al presidente libico il pieno appoggio italiano all'impegno messo in campo dall’Onu. Una vera e propria investitura di Al Serraj come “amico numero 1” dell’Italia che aveva sottolineato "l'importanza di questa visita nel quadro del processo di consultazioni tra i due Paesi amici”.
Ma questa notte le milizie di Khalifa Haftar nella notte hanno conquistato in nodo strategico di Gharian, a 100 chilometri da Tripoli. La Libyan National Army guidata dal generale di Bengasi non ha trovato resistenza. Haftar punta a Tripoli, con l’aiuto di milizie indipendenti ostili a Al Serray. Al generale, dell’Onu, importa poco: vuole ripulire Tripoli dal “terrorismo”, con una colonna di 300 blindati e di soldati molto ben armati, Fayez Serraj lancia l’allarme generale. Il ministro dell’Interno Fathi Bishaga, sembrerebbe deciso a difendere la capitale dall’avanzata della milizia di Haftar: “Assicuro il nostro popolo libico che le forze del Ministero degli Interni sono pronte e pienamente capaci di affrontare qualsiasi tentativo di minare la sicurezza della capitale o mettere in pericolo la sicurezza dei civili. Non c'è modo di porre fine alla crisi se non attraverso mezzi politici e pacifici, la sicurezza di Tripoli non potrà essere scalfita”. Ma il portavoce di Haftar, il generale Ahmed Mismari, resplica: “Libereremo la madrepatria dal terrorismo, non vogliamo Tripoli per il potere o per i soldi, vogliamo Tripoli per la salvezza, per la dignità e il prestigio di uno stato forte”.
Il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres è a Tripoli, ha scritto di essere “totalmente determinato a sostenere il processo politico in questo Paese per guidarlo verso la pace, la stabilità la democrazia e la prosperità”. Al Serray è chiuso in una morsa. Haftar vuole toglierlo di mezzo. E l’Italia? Sta a guardare.
*Esperto di politica internazionale