Ci vogliono pochi secondi per essere sopraffatti dal fetore della morte. A più di due settimane di distanza dal passaggio dell’uragano Dorian, che ha spazzato via interi quartieri, East Grand Bahama sembra ancora una zona di guerra. “Perfino la polizia fatica ad andare nelle zone più colpite: per loro è difficile assistere impotenti alla strage della propria gente”, racconta Patricia Freling, un’infermiera della Florida arrivata alle Bahamas come volontaria. “Circa 1.300 bahamiani sono ancora dispersi, e le autorità pensano che i corpi sepolti siano molti: ci stiamo preparando al peggio”.
La consulente per la salute mentale Betsy Rosander è abituata a circostanze difficili, ma oggi è diverso: “Penso che vedremo delle cose davvero difficili”. L’equipe medica è guidata dalla 29enne Brittany Reidy, un’infermiera giunta alle Bahamas per aiutare i sopravvissuti nelle zone più devastate: “La maggior parte della gente non vuole avvicinarsi a questa zona, è una delle zone peggiori, su cui Dorian ha colpito duro”.
Durante l’ora di viaggio che separa Freeport all’estremità orientale di Grand Bahama, l’odore della carneficina si avverte nell’aria, ancora prima di vederla: “Questo è l’odore dei cadaveri”. Il bilancio ufficiale delle vittime della furia di Dorian è di 52 persone, ma è un numero destinato a salire: la maggior parte si teme siano intrappolati sotto montagne di macerie, altri potrebbero essere stati spazzati via dalle onde.
Tanya Steinlage, un’infermiera pediatrica americana, è al suo secondo viaggio nella devastazione dell’arcipelago che un tempo era un paradiso terrestre: “L’ultima volta ho dovuto buttare via i camici e gli abiti che indossavo: non ce l’ho fatta a resistere, sono dovuta andar via”.
I rischi per la salute a lungo termine abbondano, e raggiungere questa parte delle Bahamas è un’impresa enorme. La Grand Bahama Highway, un’ancora di salvezza che collega in lunghezza l’isola, è stata impraticabile in molti per giorni. Ora che l’autostrada è stata liberata, per i medici è più semplice raggiungere le zone più colpite.
Setacciano una dopo l'altra le abitazioni rimaste deserte: sulle pareti i segni che mostrano il livello impressionante raggiunto dall’acqua: “C’è odore di muffa e di marcio”. Ma la muffa non è l’unico rischio a lungo termine per la salute, in varie parti il fetore delle acque reflue riempie l’aria: non c’è acqua corrente, e il rischio di infezioni dilaga.
Alla fine del loro primo giorno a East Grand Bahama, i medici hanno individuato almeno 30 punti dove si avvertiva l’odore dei cadaveri, anche se non riuscivano a vederli. Helen Perry, infermiera e veterana dell’esercito, ha confidato che spera nell'arrivo delle squadre cinofile: se non lo fanno, la decomposizione potrebbe portare ad un’epidemia di colera.