Si chiama “UNDOC”, acronimo di “United Nations Office on Drugs and Crime”, è l’agenzia delle Nazioni Unite fondata nel 1997 per il controllo e la prevenzione del crimine, soprattutto verso il traffico illegale di stupefacenti: ha sede a Vienna, con 1500 dipendenti e 21 succursali in tutto il mondo.
Ogni anno, l’UNDOC pubblica un report sul tasso di violenza nel pianeta, individuando paesi e continenti dove la giustizia sembra stia lasciando campo alla malavita organizzata. È un quadro a tinte fosche e preoccupante, una finestra aperta su un universo parallelo fatto di violenze e omicidi, così tanti da superare di gran lunga le vittime di guerre e terrorismo. Prendendo in esame i dati globali del 2017 – ad esclusione di quelli delle forze dell’ordine nell’esercizio delle loro funzioni, i casi di autodifesa e i conflitti armati - l’UNDOC stima in 464mila le persone uccise in quell’anno, e per il 19% si tratta di vittime della malavita organizzata. La cifra più alta raggiunta da 25 anni a questa parte, che stride in modo evidente contro gli 89mila morti per guerre e i 26mila del terrorismo.
Eppure, sempre stando alle cifre, qualcosa sembra muoversi: la probabilità di essere vittima di omicidio è statisticamente più bassa rispetto al passato: nel 1993 moriva una media di 7,4 persone ogni 100mila, mentre oggi si è passati a 6,1. Ma c’è un trucco, spiega il report: la verità è che il tasso di omicidi è cresciuto, ma anche la popolazione mondiale, passata da 5,4 a 7,44 miliardi di persone.
Si muore di più e più facilmente nel continente americano: nel 2017, 17,2 persone ogni 100mila abitanti hanno perso la vita, una cifra che supera perfino l’Africa, dove il rapporto si ferma a 13 ogni 100mila. A primeggiare sono il Cile, il Nicaragua, El Salvador e il Venezuela, rispettivamente con 3,5, 8,3, 62,1 e 56,8 morti ogni centomila persone. Va meglio in Europa, Asia e Oceania, dove il conto finale parla di 3 omicidi ogni 100 mila abitanti, anche se perfino questa volta resta un dubbio che riguarda l’Oceania, dove le tantissime tribù sono abituate a regolare i conti di persona senza avvisare la polizia.
Sono gli uomini a morire di più (81%), in particolare quelli di età compresa fra i 15 ed i 29 anni, anche se in Europa il dato interessa adulti fra 30 e 44 anni. Un numero impressionante di donne muore prima di compiere 50 anni, soprattutto per mano di familiari (24%), o di fidanzati e mariti (34%). Fra le categorie professionali, chi rischia di più sono i giornalisti: 46 morti nel 2008, 124 nel 2012.
Si uccide per le ragioni più disparate: litigi, questioni personali, gelosia, disparità di reddito, divergenze politiche, discriminazioni di genere, alcol e droga. Il report si chiude con un monito: la protezione dei propri cittadini passa attraverso investimenti massicci nell’istruzione e nella certezza che nessun crimine finisca impunito.