Ci sono cifre che preoccupano il Giappone: lo scorso ottobre, il Covid ha ucciso 2.087 persone. Ma il numero di chi si è tolto la vita perfino maggiore: 2.153.
Il Paese del Sol Levante è una delle poche grandi economie mondiali a rendere noti in modo tempestivo i casi di suicidio, al contrario di altri come gli Stati Uniti, i cui dati sono fermi al 2018. Ma è proprio la preoccupante salita di chi sceglie di dire basta alla vita, che può dare agli altri Paesi una visione globale dell’impatto devastante sulla salute mentale e le classi sociali più vulnerabili delle misure contro la pandemia.
“Non abbiamo nemmeno avuto un lockdown drastico, e l’impatto del Covid è stato minimo rispetto ad altri Paesi, ma malgrado questo assistiamo ad un’escalation dei casi di suicidio - commenta Michiko Ueda, professore alla Waseda University di Tokyo - questo suggerisce che altri paesi potrebbero assistere ad uno scenario simile o anche di maggiore entità. Questa è una società in cui le persone più deboli vengono tagliate fuori per prime quando succede qualcosa di brutto”.
Secondo l’OMS, il Giappone lotta da lungo tempo con uno dei tassi di suicidi più alti del mondo: nel 2016, si sono registrati 18,5 casi ogni 100.000 abitanti, quasi il triplo della media mondiale annuale, ferma a 10,6 ogni 100.000 persone.
Le ragioni dell’alto tasso di suicidi sono complesse, ma fra i fattori che contribuiscono ci sono i lunghi orari di lavoro, la pressione scolastica, l’isolamento sociale e una cultura che tende a stigmatizzare i problemi di salute mentale. Eppure, campagne di prevenzione avevano avuto qualche effetto: nei 10 anni che precedono il 2019, il numero di suicidi era diminuito, scendendo a circa 20.000 casi all’anno, il numero più basso dal 1978, quando le autorità sanitarie del Paese hanno iniziato i conteggi.
La pandemia sembra aver invertito la tendenza, e l’aumento dei suicidi ha colpito in modo sproporzionato le donne: anche se rappresentano una percentuale minore dei suicidi totali rispetto agli uomini, il numero di donne che si tolgono la vita è in aumento. In ottobre, i suicidi femminili sono aumentati di quasi l’83% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente: a titolo di confronto, nello stesso periodo i suicidi maschili sono aumentati di quasi il 22%.
Ci sono diverse potenziali ragioni: le donne costituiscono una percentuale maggiore di lavoratori a tempo parziale nel settore alberghiero, nella ristorazione e nella vendita al dettaglio, categorie in cui la perdita di posti di lavoro è stata costante e drammatica.
Secondo i risultati di uno studio condotto su più di 10.000 persone dall’organizzazione umanitaria internazionale no-profit “CARE”, rispetto al 10% degli uomini, il 27% delle donne ha ammesso che durante la pandemia sono aumentati i problemi di salute mentale.
Lo scorso marzo Koki Ozora, una studentessa universitaria di 21 anni, ha attivato una linea telefonica dedicata alla salute mentale, attiva 24 ore su 24, chiamata “Anata no Ibasho” (A Place for You). La hotline, una no-profit finanziata da donazioni private, riceve una media di oltre 200 chiamate al giorno, e la stragrande maggioranza sono donne. “Hanno perso il lavoro e devono crescere i loro figli, ma non hanno soldi e molte di loro hanno già tentato il suicidio”. La maggior parte delle chiamate arrivano durante la notte, dalle 22 alle 4 del mattino: i 600 volontari vivono in tutto il mondo e grazie ai diversi fusi orari rispondono a qualsiasi ora, ma non sono abbastanza per stare al passo con il volume dei messaggi. Danno la priorità ai casi più urgenti, come tentativi di suicidio o abusi sessuali.
Lo scorso aprile, i messaggi più comuni erano quelli di madri in crisi, e diverse hanno confessato di aver pensato di uccidere i propri figli per mettere fine alla pena di andare incontro al nulla. Nelle ultime settimane, il tenore dei messaggi si concentra più sulla perdita del lavoro, le difficoltà economiche e la violenza domestica. “Ci arrivano messaggi allarmanti, come ‘Sono stata stuprata da mio padre’ o ‘Mio marito ha cercato di uccidermi’: arrivano quasi ogni giorno, e stanno aumentando”.
Il Giappone è l'unico Paese del G7 in cui il suicidio è la principale causa di morte per i giovani tra i 15 e i 39 anni, e i casi tra i minori di 20 anni erano già in aumento prima della pandemia. Le restrizioni sociali per frenare il virus tolgono ai bambini la scuola e la socialità aumentando gli abusi e una vita domestica stressante: “Diversi bimbi di cinque anni hanno inviato messaggi al nostro numero verde, e ascoltarli è straziante”.
Ma in Giappone c’è ancora un blocco culturale che quasi vieta di ammettere la sconfitta e la solitudine: “La vergogna di parlare della depressione spesso trattiene le persone: culturalmente non sono cose di cui si parla in pubblico, con gli amici o altro. In America, come in moltissime altre parti del mondo, chi capisce di aver bisogno di un aiuto lo cerca senza problemi, ma in Giappone è molto difficile che accada”.
Dopo la crisi finanziaria degli anni ‘90, il tasso di suicidi in Giappone ha raggiunto il record nel 2003, quando circa 34.000 persone si sono tolte la vita. All’inizio degli anni 2000, il governo giapponese ha accelerato gli sforzi per la prevenzione dei suicidi e il sostegno verso chi era sopravvissuto, tra cui l’approvazione della Legge fondamentale per la prevenzione dei suicidi nel 2006 per fornire sostegno alle persone colpite dal problema. Ma non è stato sufficiente: per ridurre il tasso di suicidio è necessario che la società giapponese cambi. “È assurdo provare vergogna per le proprie debolezze: si tende a nascondere tutto dentro di sé, fin quando si esplode”.
Il fenomeno colpisce anche le celebrità: Hana Kimura, una lottatrice professionista di 22 anni protagonista del reality show “Terrace House”, è morta suicida l’estate scorsa, dopo aver subito un massiccio bombardamento di insulti e minacce via social. La madre di Hana, Kyoko Kimura, consapevole del fatto che la notizia sulla morte della figlia potesse indurre altri a togliersi la vita ha chiesto alla polizia di non rivelare alcun dettaglio sulla sua fine, “ma la notizia è filtrata lo stesso”.
Nelle ultime settimane, il Giappone ha registrato nuovi record di casi quotidiani di Covid, e gli esperti avvertono che una terza ondata potrebbe esplodere nei mesi più freddi. Altri temono che significhi ritoccare ancora il numero di suicidi: “La pandemia può peggiorare, e si teme un nuovo semi-lockdown; se questo accade, l’impatto sulla società può avere un impatto catastrofico”.