A meno di due settimane dal Natale, quasi 40mila australiani sono ancora bloccati all’estero a causa delle restrizioni dei voli internazionali decisi nel loro Paese. Negli ultimi cinque mesi, l’Australia ha fortemente limitato il numero di arrivi dall’estero: all’inizio erano 4.000 a settimana, oggi sono saliti a poco più di 7.000, ma non bastano a risolvere una situazione al limite del paradosso. Eppure, malgrado l’incremento, la situazione per coloro che sono rimasti bloccati all’estero non fa che peggiorare. Molti non hanno un lavoro, un visto, un’assistenza sanitaria, non hanno accesso all’assistenza sociale e, in alcuni casi, non hanno un tetto sulla testa.
In realtà, coloro che sono rimasti bloccati non hanno disobbedito ai consigli delle autorità: a marzo, il governo ha consigliato a coloro che si trovavano in un luogo sicuro e con un lavoro di rimanere all’estero, ma nessuno avrebbe potuto prevedere l’impatto che la pandemia avrebbe avuto sulla propria situazione personale. Per chi non si trova in una situazione di sicurezza, le possibilità di tornare a casa sono svanite molto rapidamente a causa di diversi paesi che hanno bloccato i voli internazionali.
Le forti limitazioni, introdotte a metà luglio, sono state decise dopo il caso di alcune strutture alberghiere di Melbourne adibite a quarantena in cui gli ospiti facevano di tutto, tranne che rispettare le distanze. Come reazione, lo stato di Victoria ha bloccato tutti gli arrivi internazionali, riaprendo parzialmente solo all’inizio di questo mese. Tutto questo ha portato ad un accumulo di voli cancellati, con poco più di 30 persone ammesse su ogni aereo e i biglietti di sola andata gonfiati fino a far lievitare il prezzo: un volo da Abu Dhabi a Sydney al momento si aggira sui 7.500 euro, e senza alcuna garanzia che l’aereo parta, mentre il costo della quarantena obbligatoria in hotel si aggira intorno ai 3.000 euro a persona. Il governo offre prestiti una tantum a coloro che sono bloccati, ma vanno rimborsati.
A metà settembre, il primo ministro Scott Morrison aveva affermato l’intenzione di “riportare a casa il maggior numero possibile di australiani, se non tutti”. A fargli eco il ministro della Salute Greg Hunt, che poco dopo aveva parlato di necessità di “garantire ad ogni australiano che vuole tornare a casa, di essere a casa entro Natale”.
All’epoca, secondo il Dipartimento degli Affari Esteri e del Commercio almeno 25.000 australiani avevano espresso la necessità di tornare in patria, anche se per il “Board of Airline Representatives of Australia” il numero reale si avvicinava a 100.000 persone. Il sito web del DFAT consiglia agli australiani di non registrarsi se “non in caso di reale bisogno di aiuto”, e aggiunge che “l’iscrizione non garantisce in alcun modo il ritorno”.
Per Joel Mackay di “Amnesty International Australia”, si tratta di una lampante violazione del diritto internazionale: “Il governo australiano ha l’obbligo, ai sensi della Dichiarazione universale dei diritti umani e del Patto internazionale sui diritti civili e politici, di riportare a casa i propri concittadini. Senza se e senza ma”.