“Voglio dire loro che mi dispiace”. Bill Schroder, 76 anni, è uno dei più cari amici di Oscar Pistorius, il celebre velocista sudafricano finito in carcere per l’omicidio della fidanzata Reeva Steenkamp. Malgrado tutte le prove convergessero verso di lui, quello contro Pistorius si avviava ad un processo talmente mediatico da influenzare perfino la giuria: il campione aveva dato fondo a tutto il repertorio vomitando in aula dopo aver camminato senza le protesi per mostrare la sua estrema vulnerabilità. Riuscì nel suo intento rimediando una condanna a 5 anni che finì per fare infuriare mezzo mondo, a cominciare dal suo Sudafrica. Nel 2017, al termine del processo di appello, la condanna è passata a 15 anni di reclusione per omicidio volontario.
Schroder è andato più volte nel carcere di Atteridgeville, nei dintorni di Pretoria, a far visita al suo amico, raccogliendo i pensieri, i timori e le speranze di un uomo il cui senso di colpa rasenta ormai la disperazione. “Gli ho risposto: Oscar, se tu avessi ammazzato mia figlia non credo che ti perdonerei”. Ma Pistorius, secondo Schroder non è in cerca di un perdono per uscire di galera, anzi, quasi teme il momento in cui le porte della prigione si apriranno, perché non sa più qualche sarebbe la vita che lo attende.
Ex detentore di record mondiali sui 100, 200 e 400 metri piani, definito “The fastest man on lo legs” (l’uomo più veloce senza gambe), correva sulle “cheetah”, delle particolari protesi in fibra di carbonio.
Il 14 febbraio 2013, viene arrestato con l’accusa di aver ucciso con quattro colpi di pistola la sua fidanzata, la modella Reeva Steenkamp. Pistorius afferma di aver creduto che un ladro si fosse introdotto nella loro abitazione. Non gli hanno mai creduto.