La vicenda di Jyoti Singh, una studentessa di scienze infermieristiche di 23 anni, ha fatto il giro del mondo. La mattina del 16 dicembre 2012 Jyoti sale sull’autobus di una linea privata di Nuova Delhi insieme ad Awindra Pratap Pande, un amico: il mezzo è quasi vuoto, a parte sei uomini visibilmente ubriachi che iniziano a darle fastidio. L’amico tenta di difenderla, ma finisce a terra tramortito da una valanga di calci e pugni. Jyoti viene trascinata al fondo del bus e violentata ripetutamente con una violenza inaudita: quando i sei sono finalmente soddisfatti, i due giovani sono spogliati e gettati da un finestrino lungo l’autostrada. Soccorsa e portata in ospedale, dove le riscontrano un forte trauma cranico, un arresto cardiaco, infezioni polmonari e danni cerebrali, Jyoti muore pochi giorni dopo il ricovero, mentre Awindra si salva, malgrado le gravissime ferite.
La vicenda fa il giro del mondo e il nome di Jyoti Singh diventa il simbolo della resistenza delle donne indiane, vittime di 40mila casi di stupro violenza ogni anno in base ai dati ufficiali, anche se secondo le organizzazioni umanitarie le cifre reali sono molto più alte, con molte vittime che preferiscono tacere per lo stigma sociale che circonda lo stupro e la totale mancanza di fiducia nel sistema giudiziario indiano.
Il clamore del caso costringe però la polizia a nuove indagini che portano all’arresto della gang: uno si toglie la vita in carcere pochi giorni dopo, un altro, all’epoca minorenne, viene rinchiuso in un riformatorio, mentre gli altri quattro finiscono sotto processo, dove lo scorso dicembre un giudice li ha condannati a morte per impiccagione.
Uno dei quattro, in un’intervista al regista Leslee Udwin, autore di un documentario sul caso, ha rilasciato dichiarazioni agghiaccianti: “Jyoti sarebbe ancora viva se non avesse opposto resistenza: quando una ragazza è vittima di una violenza non dovrebbe reagire. Deve restare in silenzio e aspettare che finisca”. Affermazioni che hanno alzato il livello di rabbia, culminate con manifestazioni di piazza in tutta l’India in cui si chiedeva a gran voce una condanna esemplare per i quattro “mostri”.
L’ennesimo colpo di scena arriva in aula, durante la lettura della sentenza: la madre di uno degli stupratori si è rivolta ad Asha Devi, la mamma di Jyoti, supplicandola di salvare la vita a suo figlio: “Da madre a madre, ti prego di perdonarlo”. “Anch’io avevo una figlia – ha risposto la donna – chiedi al tuo cosa le hanno fatto. Mi dispiace, ma non posso dimenticare e neanche perdonare”.
Akshay Kumar Singh, 31 anni, Pawan Gupta, 25, Vinay Sharma, 26, e Mukesh Singh, 32, saranno giustiziati il 22 gennaio alle 7 del mattino nel carcere di Tihar, a Nuova Delhi. La decisione arriva dopo che la Corte Suprema dell’India ha respinto gli appelli dei quattro stupratori, a cui resta ancora un’ultima possibilità: la richiesta di clemenza, che appare alquanto improbabile. Secondo la mamma di Jyoti, “Questa sentenza rafforzerà la fiducia della gente nel nostro sistema giudiziario. E mia figlia avrà finalmente giustizia”.