Compositore, direttore d’orchestra, pianista: Ezio Bosso era un artista, ma soprattutto un uomo dal cuore grande, quello che poche ore fa si è spento per sempre nella sua abitazione di Bologna, a soli 48 anni. Affetto da una malattia neurodegenerativa che lo tormentava dal 2011, conseguenza di un tumore al cervello per cui era stato operato, Ezio non si era mai arreso, e nel 2016 con grande coraggio ea salito sul palco dell’Ariston di Sanremo come ospite del Festival, commuovendo l’Italia intera al suono di “Following a Bird”, una sua composizione che aveva trascinato ai primi posti delle classifiche “The 12th Room”, un album che fino ad allora era passato inosservato. Ma quella era sola la prima parte di una battaglia che Bosso aveva scelto di combattere: si batteva senza sosta contro le difficoltà di essere accettato dal mondo della musica classica raccontando “i pregiudizi, gli schiaffoni, le ingiustizie e gli insulti ricevuti da chi pensava che esistevo solo perché malato. Fin da bambino ho lottato con tutte le forze perché ad un povero non è concesso diventare direttore d’orchestra: il figlio di un operaio deve fare l’operaio, così avevano detto a mio padre”.
Al principio, la malattia di Bosso fu diagnosticata come SLA, la sclerosi laterale amiotrofica, ma ulteriori esami individuarono una malattia autoimmune dagli effetti molto simili alla SLA, che colpiva i motoneuroni, le cellule cerebrali da cui dipendono i movimenti. Una malattia per cui non esistono cure, ed Ezio lo sapeva: l’unico farmaco esistente perde efficacia quando il corpo inizia ad abituarsi.
Torinese, classe 1971, si era avvicinato alla musica fin da bambino, finendo ben presto per essere affascinato dalla classica. Dopo aver studiato composizione e direzione d’orchestra a Vienna, partecipa a numerosi concerti con alcune delle orchestre più celebri del mondo. Dal settembre dello scorso anno, quando la malattia gli aveva compromesso l’uso delle mani, si era ritirato ufficialmente.