James Brown, una delle leggende della musica americana, muore il giorno di Natale del 2006 per un’aritmia cardiaca, causa di una polmonite che pochi giorni prima l’aveva colpito e indebolito. Tre giorni dopo, migliaia di fans del pioniere di generi che sarebbero diventati popolari grazie a lui, come gospel, rhythm and blues, soul, funk e disco, si radunano davanti all’Apollo Theatre di Harlem, a New York, per i funerali.
Nel 2006, Brown aveva annunciato di essere affetto da un tumore alla prostata per cui era stato sottoposto a numerosi interventi e cure: “Ho superato tante prove in vita mia, passerò anche questa”, aveva dichiarato per non smentire la reputazione di “hardest working man in show business”.
Da allora, nessuno ha mai nutrito sospetti sulla morte, a parte Paul Howard Jr., procuratore distrettuale della contea di Fulton, Georgia, che nei giorni scorsi, a 16 anni dalla morte di Brown ha avviato un’indagine per fare piena luce sulla morte del grande artista dopo aver incontrato una donna convinta di avere le prove che Brown sia stato ucciso. Ma quella che potrebbe sembrare una “boutade” da giornale scandalistico è in parte smentita dallo stesso procuratore, secondo cui prima di decidere se avviare o meno l’indagine avrebbe incaricato gli investigatori analizzare prove e circostanze della morte.
Il certificato di morte di James Brown parla di infarto, ma Marvin Crawford, il medico che l’ha firmato, in un’intervista di un paio di anni fa aveva ammesso di avere il dubbio che la morte improvvisa fosse stata causata da una sostanza tossica e non da un malore. “È cambiato troppo in fretta. Era un paziente tutto sommato in buono stato di salute, ma è morto all’improvviso quella notte, e ricordo di aver sollevato il dubbio: cos’è andato storto in quella stanza?”.
Un anno fa, la CNN ha realizzato una serie investigativa che sollevava dubbi sulla morte di Brown: venivano citate 13 persone che avrebbero richiesto un’autopsia e un’indagine. Tra questi c’erano il manager, suo figlio Daryl, la sua ultima moglie, un uomo che sosteneva di aver preso una provetta del sangue di Brown dall’ospedale e per finire Jacque Hollander, una cantante, colei che per prima ha sempre sostenuto che l’artista fosse stato assassinato.
È stata la Hollander a incontrare il procuratore distrettuale, dopo aver provato ad avere udienza per un anno intero. Nell’incontro, la donna ha raccontato la sua versione della vicenda fornendo anche una lista di possibili testimoni e un contenitore di plastica verde che, secondo lei, è pieno di prove. Al termine dell’incontro, il procuratore ha passato i reperti ad un assistente del procuratore distrettuale per le analisi.
Circa tre anni fa, Jacque Hollander aveva indetto una conferenza stampa per svelare che James Brown e la sua terza moglie, Adrienne, erano stati assassinati. Adrienne Brown è morta il 6 gennaio 1996 in California, mentre si stava riprendendo da un intervento di chirurgia plastica, ma la polizia di Beverly Hills non ha mai aperto un’indagine.
James Brown era nato nel 1933 in una povera baracca nelle campagne di Barnwell, in South Carolina: cresciuto in un forte stato di disagio, aveva iniziato prestissimo a guadagnarsi da vivere lavorando come raccoglitore di cotone e lustrascarpe. A 16 inizia a esibirsi nei piccoli locali della zona, ma rimedia anche qualche noia con la giustizia. È in galera che si appassiona alla musica, il gospel in particolare, e alla metà degli anni Cinquanta forma la sua prima band, con cui riesce a strappare un contratto discografico. Meno di un decennio dopo James Brown è in cima alle classifiche di mezzo mondo, riuscendo a ritagliarsi anche uno spazio nel nascente fenomeno della discomusic grazie all’apparizione in “The Blues Brothers”, dove veste i panni di un predicatore invasato. Sposato per tre volte, ha avuto nove figli, cinque maschi e quattro femmine, più altri tre nati da relazioni extraconiugali e accertati dall’esame del Dna.