Clamoroso colpo di scena al processo d’appello per la morte di Lidia Macchi, la giovane uccisa nel 1987: l’avvocato Daniele Pizzi, legale di parte civile, ha chiesto la ricusazione del collegio della prima sezione della Corte d’Assise d’Appello di Milano, presieduta da Ivana Caputo, per “manifesta anticipazione di giudizio”.
“Non ci sono le condizioni per arrivare alla conclusione dinanzi a questo collegio giudicante – ha commentato il legale ai giornalisti dopo l’udienza – auspichiamo che il Presidente della Corte d’Appello intervenga perché questa corte non si è mai pronunciata sulle questioni sollevate fin dalla prima udienza, continuando ad anticipare che il 24 luglio si sarebbe svolta la discussione, senza aver sciolto la riserva sulle perizie grafologica e merceologica, sull’acquisizione documentale chiesta dalla procura generale, e dando un termine alle parti di pochi giorni per preparare le discussioni”.
Il riferimento è alla misteriosa lettera recapitata a casa della famiglia Macchi, a Varese, lo stesso giorno dei funerali di Lidia, la 21enne uccisa a Cittiglio con 29 coltellate dopo aver subito violenza. Nella missiva, che iniziava citando Cesare Pavese (“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”), si raccontano i dettagli dell’omicidio. I sospetti si concentrano subito su Stefano Binda, ex compagno di liceo della giovane che insieme a lei frequentava un gruppo di “Comunione e Liberazione”. Condannato all’ergastolo in primo grado, le accuse contro di lui vacillano nel processo d’Appello, quando l’avvocato Piergiorgio Vittorini racconta di conoscere il vero autore: si sarebbe presentato nel suo ufficio nel febbraio 2017, affermando di volersi liberare da “Un segreto che mi sta lacerando l’anima”. Sentito come testimone e avvalendosi del segreto professionale, l’avvocato Vittorini non ha voluto rivelare l’identità dell’uomo, limitandosi a descriverlo come una persona laureata e di alto livello professionale, ai tempi frequentatore dello stesso circolo di “CL” di Lidia Macchi. Per l’accusa, che ha preso in esame tempi e modalità di spedizione, ma anche il rifiuto di fornire l’identità, nient’altro che un modo per sviare le accuse contro Binda.