"Sabrina Misseri è l'angoscia della mia vita. La notte mi capita ancora di pensare a questa sciagurata e a sua madre”. L'avvocato Franco Coppi, difensore di Sabrina Misseri e della madre Cosima in carcere per l'omicidio di Sarah Scazzi, lo aveva rivelato al “Foglio” pochi giorni fa e ora cresce l’attesa per il giudizio della Corte di Strasburgo che aveva mesi fa ritenuto “ammissibile” il ricorso dei legali delle due assassine condannate all'ergastolo. "Ho la certezza assoluta della loro innocenza sarei pronto a giocarmi qualunque cosa. Non essere riuscito a dimostrarlo ha rovinato la mia vita di avvocato. Noi difensori non possiamo pretendere di vincere tutti i processi, non deteniamo il monopolio della verità e certe vicende si prestano a molteplici letture, d'accordo, ma nel caso di Sabrina Misseri no. Le prove della sua innocenza e della colpevolezza del padre reo confesso erano talmente schiaccianti che non riesco a capacitarmi di questo fallimento, il ricorso per Cassazione mi ha procurato una delusione insanabile. Questa ragazza sta in carcere da dieci anni: per me è un tormento”.
E’ il 26 agosto 2010, Avetrana, Puglia. Una ragazza di 18 anni, Sarah Scazzi, attorno alle 14 e 10 di un pomeriggio assolato, percorre a piedi le poche centinaia di metri che la separano dalla sua casa a quella della famiglia Misseri. Da quella massiccia costruzione gialla, protetta da un alto cancello di ferro, non uscirà viva. Qualcuno l’ha uccisa, strangolandola. All’interno di questo incrocio tra una casa colonica e una villa moresca, ci sono tre persone. O quantomeno, persone che gravitano nella proprietà. Michele Misseri, la moglie Cosima Serrano e la figlia Sabrina. Una di queste tre persone è l’assassino, oppure due persone insieme, oppure tutte e tre. Resta il fatto che il 6 ottobre, dopo settimane di febbrili ricerche, con Sabrina in tv che lancia appelli drammatici alla cugina (“Ti preghiamo, torna!”, insinuando anche che possa essere rimasta vittima di un sequestro), Misseri trova il suo cellulare bruciacchiato nelle campagne vicine; in caserma, dopo un interrogatorio di 9 ore, crolla e confessa: “L’ho stuprata e l’ho uccisa, il cadavere l’ho gettato in un pozzo”. Lo choc ad ad Avetrana, un poco ridente paese agricolo di 8 mila abitanti, lontano dal mare, affondato in una pianura rovente d’estate, la notizia fu lasciata cadere in modo indiretto, mentre i militari cercavano ancora riscontri. Che ci furono. Il corpo in avanzato stato di decomposizione era proprio quello di Sarah.
Quello che è accaduto dopo in molti lo sanno. Gli inquirenti avevano trovato troppe contraddizioni nel racconto confuso di Misseri; alla fine fine si convincono che sì, il cadavere lo aveva fatto sparire lui ma ad uccidere è stata Sabrina con l’aiuto della madre. Sarah, biondina con gli occhi azzurri, era molto carina e molto fragile. Sabrina è un donnone dal fisico massiccio che la sovrastava di 20 centimetri. Sarah in quella casa ci era cresciuta, Cosima la considerava la “terza figlia”. Quel pomeriggio le ragazze avrebbero dovuto andare al mare, invece - come la sera prima in un pub - avevano litigato. Al centro del contrasto, Ivano Russo, un ragazzo che allora faceva il cuoco, una “bellezza” di paese, già incline al sovrappeso, robusto, sensibile e forse meno rozzo di molti suoi coetanei della zona. Ivano è la star della compagnia; Sabrina lo desidera e vuole fidanzarsi. Una sera, in auto, il 3 agosto, i due iniziano un rapporto sessuale ma lui si tira indietro “perchè non è convinto fino in fondo”. Intanto Sarah, a cui Sabrina da tempo confidava i suoi tormenti d’amore e la sua passione rimasta irrisolta, si era molto avvicinata a Ivano in quei giorni d’estate. Coccole, sguardi, incontri troppo frequenti per essere casuali. In Sabrina cresce una rabbia incontenibile. Ma come, proprio lei, la cuginetta-sorellina, che lei aveva imposto ai suoi amici, perché era in cattivi rapporti con la madre e nessuno se la filava, quella tipetta insignificante, senza personalità, che si permette di flirtare con il “meglio figo del bigoncio” su cui lei aveva già messo gli occhi addosso. Un tradimento inaccettabile. Sabrina trova un alleato nella madre, a sua volta indignata per il torto subito dalla figlia. Così, in quel pomeriggio silenzioso, le strade pressoché deserte, Sarah va incontro alla morte. Uccisa nel garage, oppure nel piano superiore. Sarah è uno scricciolo, le manone di Sabrina le hanno stretto il collo e in pochi secondi non respirava più. Le due donne non sanno che fare. Misseri dormiva in camera da letto, lo svegliano, gli spiegano e lui si presta a nascondere il cadavere nella campagna vicina.
Questa lunga premessa è servita a spiegare che, come in altri casi giudiziari, c’è ancora un’ultima spiaggia per le due donne, condannate entrambe all’ergastolo, in primo, secondo grado e in Cassazione. Fra breve sarà resa nota la sentenza della Corte di Strasburgo a cui i difensori di madre e figlia, detenute modello, si sono affidati per ottenere almeno un giudizio favorevole alle loro tesi di una totale innocenza. Per loro l’assassino è papà Misseri che, dopo la confessione, ritrattò accusando la figlia, salvo poi ritrattare di nuovo attribuendosi ogni colpa. Mentì quando parlò di stupro perché Sarah non aveva subito alcun tipo di violenza sessuale. La condanna a 9 anni per occultamento di cadavere non gli è mai parsa sufficiente. Ma sperano anche in una revisione del processo. Non sarà facile. Intanto i giudici hanno respinta la richiesta di Sabrina di accedere alle misure alternative. Troppo presto. Sono passati solo 9 anni dal delitto.