Il disastroso fallimento della “Thomas Cook”, il più antico e glorioso tour operator del mondo, ha radici ben più profonde dei semplici conti che non tornano per colpa di internet. È il sintomo di un cambiamento epocale di una civiltà che dopo aver sdoganato il mondo in pacchetti “all-inclusive” ora inizia a fare retromarcia, perché le masse dei turisti hanno imparato a spendere poco, consumare il necessario e tornare a casa ugualmente soddisfatti. Ma quello che resta nelle casse delle mete turistiche, a conti fatti, non giustifica strutture, investimenti e sempre nuove idee per attirare, stupire e facilitare spostamenti e soggiorni.
Un tempo il viaggio era un privilegio per pochi, i soliti ricchi e potenti: i rampolli delle famiglie nobili europee non diventavano uomini senza un “Grand Tour”, viaggi di formazione nelle grandi capitali, alla scoperta di culture diverse e magari donne compiacenti. Proprio da questo punto che era partito Thomas Cook, un pastore protestante del Derbyshire che si era convinto del valore altamente formativo del viaggio. L’inventore del turismo moderno era partito da un’idea semplicissima: per uno scellino, offriva alla working-class una gita di una giornata verso le spiagge di Brighton o le terme di Bath. Nel pacchetto erano compresi il viaggio in treno, il pranzo e addirittura uno spettacolo di varietà. Era il 1841, e da allora la formula non è cambiata neanche un po’.
Le due guerre mondiali azzoppano il turismo, ma quando la pace e la ricostruzione iniziano, scatta una voglia di “villeggiatura” che contagia anche gli italiani: sulle “Cinquecento” cariche fino al tetto partono per le riviere o le montagne, dove si fermano fra 20 e 30 giorni. Ma è l’Italia stessa, a diventare una meta prediletta del turismo internazionale: nel 1970 è la prima destinazione al mondo, con una media di presenze che nel giro di un decennio passa da 132 a quasi 300 milioni di turisti.
Il fenomeno del turismo si consacra nei “facili” anni Ottanta, quando esplode il concetto di “vacanza organizzata”: soggiorni più brevi in villaggi in cui non manca nulla, ma più di uno durante l’anno, diluendo le vacanze in diversi momenti. Rimini, Ibiza e Mykonos sono il sogno dei giovani, che spesso partono con le canadesi nel bagagliaio e in tasca pochi soldi e molta fantasia.
Dieci anni dopo, il turismo diventa un fenomeno di massa che si frammenta in base ai più diversi interessi e passioni. Non è più solo la sdraio e l’ombrellone: la gente vuole viaggiare, scoprire, andare lontano. Come scriveva Marguerite Youcenar, la grande scrittrice francese: “Il turismo seleziona il mondo”.
E quando sul calendario scatta il nuovo millennio, il concetto di turismo sposta il proprio baricentro verso il “self-made”. Vacanze organizzate in proprio prenotando sul web tutto quel che serve, dall’hotel all’auto a noleggio, al ristorante. È il sintomo di una crisi che serpeggia e diminuisce i denari a disposizione della massa, che però non rinuncia al viaggio, piuttosto immola qualche piacere e diminuisce i giorni della vacanza, ma a casa non ci resta.
Le agenzie on-line, malgrado le truffe siano dietro l’angolo, minacciano sempre di più quelle vere, con le foto di spiagge caraibiche in vetrina. E lo stesso fanno le compagnie aeree low-cost, che nel tempo hanno imparato a offrire anche transfer, alberghi e noleggi, ormai diventate un vero fenomeno di costume perché a chi sa giostrare fra i tempi delle prenotazioni permettono spostamenti intercontinentali per poche centinaia di euro.
È la crisi del turismo tradizionale? Per niente: il turismo aumenta, sta solo cambiando faccia. Ormai non c’è luogo sul pianeta che sia ritenuto irraggiungibile e a portata di qualsiasi budget. Certo, è un turismo incontenibile - per certi versi consapevole e per altri barbarico - forse un po’ scarnificante a livello economico perché i giovani viaggiano, ma sanno guardare al portafoglio: consumano quello che devono, si accontentano di un panino sui gradini di una chiesa e di un divano prestato da un conoscente e non hanno paura di impiegare due giorni per raggiungere quello che hanno in testa.
Alla fine del secondo decennio del nuovo millennio, il turismo sta diventando quello che nessuno, neanche il reverendo Thomas Cook, avrebbe mai immaginato: un problema. Non si contano più le città che si lamentano e istituiscono il numero chiuso, perché i turisti devono dormire, mangiare e fare pipì, ed in cambio magari comprano una calamita prima di ripartire. La democrazia della vacanza, ormai sdoganata senza distinzioni di classi, è anche diventata uno scontro culturale: da una parte chi chiede regole ferree e tasse di ingresso, dall’altra chi non vuole barriere. In mezzo, una corrente di pensiero che considera il volo uno dei peggiori modi per inquinare un pianeta malato grave.