di Marco Belletti
Un tempo c’era la neurodeliri, oggi si parla di neuro-marketing. Non è lo stesso concetto, ovviamente, ma in qualche caso il risultato è uguale: ci ritroviamo a fare cose che in condizioni normali non faremmo mai. Neurologi e psicologi si sono uniti agli esperti del marketing per spingerci verso scelte – che sono imposte da trucchetti di cui non ci accorgiamo – e che siamo convinti di assumere in totale autonomia.
Innumerevoli le dimostrazioni: per spingere i giocatori a osare di più, negli impianti di aria condizionata dei casino di Las Vegas viene immesso del gas elio, che eccita gli scommettitori, facendo rilasciare ai loro cervelli adrenalina che modifica la soglia di percezione del rischio, facendo loro fare verso scommesse più azzardate. E che dire del profumo di hamburger che si percepisce nei dintorni dei fast food? Accelera la salivazione e stimola l’appetito in chi passa davanti alle vetrine.
Non si tratta di esperimenti, ma di tecniche studiate ed elaborate da psicologi, come Eric Spangenberg della Washington State University, che durante un’indagine ha dimostrato come l’aroma di vaniglia diffuso nei negozi di abbigliamento femminile riesce a far incrementare sensibilmente le vendite.
Quindi, le tecniche di neuro-marketing fanno leva su meccanismi di funzionamento inconsci del cervello. Siamo letteralmente bersagliati da una enorme quantità di informazioni di ogni genere – colori, odori, suoni, forme – e le dobbiamo elaborare tutte per prendere una decisione, dalla più semplice alla più complessa. Ma siccome il nostro cervello, pur riuscendo a effettuare oltre mille operazioni al secondo, ha dei limiti, ha messo a punto automatismi che gli permettono di elaborare stimoli e assumere decisioni in modo automatico, anche in millesimi di secondo, ricorrendo alla memoria.
Per esempio, quando le molecole di un cibo andato a male raggiungono il nostro naso, il cervello associa immediatamente lo stimolo olfattivo alla non commestibilità, evitando di morire avvelenati come invece successo a qualcuno dei nostri antenati.
Una ricerca dello Scent Marketing Institute – organismo leader nelle strategie di marketing collegate all’uso degli odori – ha dimostrato che il profumo del talco e del bucato fresco attiva nei nostri cervelli ricordi legati alla famiglia e suscita stati d’animo ed emozioni positivi. Infatti, il bulbo olfattivo (la parte del nostro cervello che si occupa di elaborare gli odori) si trova nell’ippocampo dove conserviamo la memoria di lungo termine: una delle aree più “primitive” del cervello, che regola le nostre emozioni. La semplice percezione di odore attiva una catena di associazioni nel subconscio, che ci spingono a essere felici o tristi, tranquilli o eccitati. E siccome lo stato d’animo influisce pesantemente sulle decisioni di acquisto, senza neppure accorgercene possiamo essere facilmente condizionati nelle nostre scelte semplicemente facendoci percepire un odore.
Anche i colori e le forme sono stimoli che ordinano al cervello di produrre adrenalina (che eccita) oppure ossitocina (l’ormone legato al comportamento materno) e che spingono a scelte inconsce da parte nostra. Fino a una ventina di anni fa le uova di gallina erano più piccole e di colore bianco: l’attuale tinta lievemente marrone è frutto di ricerche di marketing e additivi nei mangimi, in quanto ricorda negli esseri umani la natura e i paesaggi di campagna, spingendoci ad acquistarne di più.
Quindi, il neuro-marketing studia le tecniche per guidare i nostri istinti più profondi e irrazionali in modo che – mentre fissiamo numerosi prodotti simili su uno scaffale in un supermercato o guardiamo uno spot televisivo – crediamo di effettuare una scelta ma in realtà la nostra decisione è già stata presa fin dalle prime frazioni di secondo dalla parte istintiva ed emozionale del nostro cervello che prevale o influenza quella razionale.
E sono davvero numerose le modalità con cui il neuro-marketing ci condiziona. Nel preparare le pubblicità su giornali e riviste si studia il movimento degli occhi sulla pagina e si calcola quanto tempo il nostro sguardo si sofferma su una parte o su un’altra, potendo in questo modo inserire i messaggi più importanti esattamente nello spazio che guardiamo più a lungo.
Un recente studio della Nielsen (azienda di misurazione e analisi dei dati relativi a consumatori e mercati) dimostra che nel consultare le pagine Google il nostro sguardo segue un andamento ricorrente, a triangolo oppure a F. Partendo da questa considerazione, molte aziende scelgono di pagare per comparire in seconda o terza posizione nella pagina dei risultati di Google, anziché in testa. Questo anche perché siccome usualmente evitiamo il primo prodotto che i venditori ci offrono (pensando che sia più vantaggioso per lui che per noi) allo stesso modo istintivamente tendiamo a saltare la prima riga sul monitor.
In un esperimento condotto in un supermercato californiano dall’economista canadese Sheena Iyengar e dallo psicologo statunitense Mark Lepper, sono stati esposti 24 diversi tipi di marmellata e solamente il 3 per cento dei clienti ne ha acquistato una confezione. Riducendo l’offerta a soli sei tipi, ben il 30 per cento degli acquirenti è uscito dal negozio con un barattolo. In pratica, troppe scelte mandano in tilt il nostro processo decisionale e il timore di sbagliare fa rinunciare all’acquisto.
Una macchina per fare il pane venduta a 275 dollari rimaneva invenduta nei negozi degli Stati Uniti. L’azienda ne ha messa in commercio una simile a 429 dollari: la prima è apparsa ai clienti improvvisamente molto più conveniente e le sue vendite sono aumentate sensibilmente. Il nostro cervello relaziona tra loro le informazioni e il costo diventa quindi relativo al contesto analizzato.
In un esperimento dell’università di Bordeaux le stesse persone hanno bevuto lo stesso vino in due differenti bottiglie, una etichettata a 5 euro la seconda a 45. A chi ha bevuto il vino creduto più costoso si sono attivate le aree del cervello legate al piacere, perché l’aspettativa determinata dal prezzo porta a stabilire giudizi che influenzano le oggettive capacità di valutazione anche se siamo consci che più caro non significa più buono. Nel caso di due prodotti assolutamente identici quello confezionato con un logo conosciuto ispira una maggiore fiducia, e quindi in più elevata propensione all’acquisto.
E infine, quanti viaggi aerei sono stati comprati d’impulso in quanto erano gli ultimi due disponibili? La presunta scarsità di un prodotto spinge fortemente all’acquisto, nel timore di non trovare più il prodotto che sembra offerto a un prezzo vantaggioso.
Che dire: il nostro cervello è davvero eccezionale ma allo stesso tempo decisamente ingenuo.