Di Germana Zuffanti
Cucinare è un’arte, espressione di un’attività umana che, nata per sopravvivere, si raffina e tocca punte di eccellenza che rendono gli chef protagonisti assoluti delle loro rappresentazioni: i piatti.Il Piemonte è terreno fertile per tradizione, cultura, creatività e passione. Tra i nomi che brillano per stelle e passione c’è Andrea Larossa. Un nome che si è fatto strada ad Alba, città assurta a simbolo del gusto, che prima del suo arrivo aveva nomi famosi come gli Alciati, ambasciatori dei sapori piemontesi in Italia e nel mondo.
Andrea Larossa, classe 1980, ha ottenuto una stella Michelin e l’ha mantenuta ancorato alle tradizioni della nostra terra ed uno sguardo al moderno ed al transoceanico, come è normale per chi è sempre alla ricerca di nuovi e più coraggiosi orizzonti.
Come ti sei avvicinato alla cucina e cosa ti ha spinto a rimanere ad Alba, città in fondo piccola ma piena di ristoranti stellati?
Mi sono avvicinato alla cucina in modo naturale, fin da piccolo ho avuto una mamma bravissima ai fornelli, poi durante la leva ho avuto la possibilità di mettermi all’opera e da li è iniziata la mia gavetta, che si è trasformata in esperienze e poi in strada da fare, carriera.
“Larossa”: il tuo nome è sulla porta del ristorante. Perché non chiamare il locale con un altro nome di fantasia?
Perché ho voluto metterci la faccia fin da subito, come hanno sempre fatto gli artigiani chiamando le “botteghe” con il loro nome. La fantasia credo di doverla mettere nei miei piatti invece.
Ti sei definito un autodidatta, un cultore delle arti marziali ai fornelli: quanto incide la personalità di un cuoco? Possono costanza e precisione supplire allo studio di un’arte come la cucina?
La personalità è tutto per chi fa questo mestiere, credo che sia proprio questo che mi ha fatto arrivare fino a conquistare la stella Michelin. Lo studio della tecnica è fondamentale: la scuola alberghiera oggi non ha un livello tale da far emergere qualche bravo talento, quindi solo con sacrificio e passione si può arrivare a qualcosa di grande.
Sei d’accordo con la mediaticità del tuo mestiere o pensi che abbassi il livello stesso della cucina? Il pubblico apprezza davvero il piatto o va in un ristorante stellato per il resto, il locale, lo chef, il servizio?
Secondo me i giovani scambiano la passione per altro, ovvero l’aspettativa che basta entrare in una cucina per diventare il Cracco o Cannavacciuolo del futuro: ovvio può succedere, ma non certo in due o tre anni. Solo con sacrificio, umiltà e dedizione si possono raggiungere gli obiettivi, perché se è vero che l’amore per la cucina serve ed è indispensabile, questo da solo non basta. Sicuramente i programmi tv ci hanno dato una mano soprattutto quando parliamo di clienti, molti hanno finalmente capito che la qualità nel nostro lavoro è imprescindibile. Nel conto c’è la qualità, la ricerca, l’idea, il sacrificio, la dedizione e l amore per il nostro lavoro. Il ristorante stellato è un insieme di tutto, cucina, sala, servizio e attenzioni.
Quindi cos’è la cucina oggi?
Esattamente quello che è sempre stata, una forma di amore per coloro che si siedono alle nostre tavole, dalla mamma o la nonna che cucinavano per i loro cari: forse dal divano di casa gli chef vengono visti come superstar, ma sono persone normali con la fortuna di fare un lavoro appassionante che amano. Nel nostro segmento poi abbiamo il dovere e la necessità di fare ricerca e sperimentare, ma sempre avendo come mira il piacere altrui, mai quello proprio.
Dietro uno chef c’è sempre la storia di una donna, una madre, una compagna: per te chi è?
Concordo: per me è Patrizia, la mia compagna, che è anche la direttrice del ristorante e Sommelier. Il ristorante siamo io e lei che da cinque anni ci impegniamo per realizzare qualcosa di speciale ogni giorno. Senza di lei non avrei potuto far nulla, siamo super uniti nella vita e nel lavoro con una combo direi perfetta.
Quindi, per quanto bravi siano gli uomini, la cucina è sempre una cosa di donne?
La cucina è di tutti, non esistono limiti o distinzioni, la cucina è di chi è pronto a donare se stesso agli altri.