di Marco Belletti
“Che l’uomo sappia scegliere la soluzione migliore e che solo in circostanze emotive particolari perda il controllo razionale è un falso mito”. Ad affermarlo è, sul suo sito web, lo psicologo Stefano Benemeglio. Da sempre – spiega il fondatore dell’Università Popolare delle Discipline Analogiche (UPDA) – si pensa che gli esseri umani siano razionali, ritenendo che ognuno di noi sappia scegliere la soluzione migliore e solo in circostanze emotive particolari si perda il controllo razionale.
In realtà non è così e a dimostrarlo ci sono studi, ricerche ed esperimenti con la tecnica alla base delle discipline analogiche, che devono il loro nome al fatto che si basano sul confronto di analogie situazionali per comprendere i nostri atteggiamenti, osservando anche i minimi dettagli comportamentali delle persone. È così possibile scoprire che gli esseri umani di fronte a domande che pongono scelte ben precise sono in seria difficoltà a rispondere e lo fanno in modo molto differente da uno all’altro, anche se la domanda appare innocua, come se si preferisce un uovo oggi o una gallina domani.
Amos Tversky e Daniel Kahneman sono due psicologi israeliani che da anni eseguono ricerche sulle scelte effettuate in condizioni di incertezza. Tra l’altro Kahneman si aggiudicò nel 2002 il premio Nobel per l’Economia “avendo integrato risultati della ricerca psicologica nella scienza economica, specialmente in merito al giudizio umano e alla teoria delle decisioni in condizioni d'incertezza”.
Con le loro ricerche i due psicologi hanno dimostrato che il nostro controllo razionale è in realtà molto limitato, in quanto sono frequenti (anzi, quasi una costante) i cambiamenti nei nostri processi mentali.
Noi esseri umani abbiamo una limitata razionalità, con un sistema cognitivo che non potendo utilizzare processi algoritmici usa la strategia della semplificazione per poter prendere decisioni e risolvere problemi. Non sempre abbiamo la possibilità di risolvere i problemi con una procedura mentale semplice e chiara e con a disposizione un tempo ragionevolmente lungo. Spesso le decisioni nei cosiddetti “ambienti ostili” devono essere prese rapidamente e in modo efficace e conservativo. In questo modo, il cervello dell’homo sapiens ha potuto evolversi e “specializzarsi” nella cosiddetta euristica della rappresentatività. In pratica, tendiamo a classificare un oggetto attraverso criteri di somiglianza o importanza, attribuendo caratteristiche simili a oggetti affini, talvolta ignorando aspetti e informazioni che dovrebbero far pensare il contrario. Le euristiche sono state dunque indispensabili in passato per la nostra sopravvivenza e ancora oggi sono utili nelle attività meno importanti per prendere decisioni semplici.
Per esempio, quando un uomo preistorico vedeva sbucare da dietro una roccia una coda che identificava con quella di una tigre dai denti a sciabola, scappava senza perdere tempo a valutare tutte le altre possibilità. Oppure, quando oggi si vede un signore con i capelli bianchi che cammina dando la mano a un bambino, il nostro cervello cataloga immediatamente l’informazione come quella di un nonno con nipote: la categoria è chiara e fare altri ragionamenti richiederebbe troppo tempo e sarebbe inutile e faticoso.
Purtroppo questo modo di pensare – che probabilmente tante volte ha salvato i nostri antenati da pericoli incombenti – talvolta non funziona e produce i cosiddetti “bias cognitivi”. Si tratta di giudizi o pregiudizi che non sempre corrispondono all’evidenza e che creiamo interpretando le non complete informazioni in nostro possesso, che ci portano a errori di valutazione o a opinioni non oggettive. Fanno leva su questi comportamenti le truffaldine strategie di marketing o i raggiri agli anziani: ci rendiamo immediatamente contro della falsità di certi slogan pubblicitari, eppure ci crediamo lo stesso e acquistiamo il prodotto; e le truffe ai danni delle persone anziane si basano proprio sulla minore adattabilità dei loro processi cognitivi, che li rendono più soggetti a cadere in questo tipo di tranelli.
Ma come comprendere i nostri bias cognitivi e sviluppare processi mentali per evitare di continuare a sbagliare in modo sistematico? Sembra che siano proprio le discipline analogiche a venirci in aiuto, fornendo una spiegazione anche sul perché ognuno di noi effettua scelte differenti. Benemeglio ha individuato tre archetipi che corrispondono a tre stili di preferenze – che sono la radice di ogni simbolismo psicologico – e li ha chiamati asta, cerchio e triangolo.
L’archetipo asta fa analogicamente riferimento alla figura paterna che denota comportamenti sicuri, decisi, che non propone soluzioni – demandando la soluzione del problema – ma tende a fare pesare le inefficiente altrui.
L’archetipo triangolo fa riferimento alla figura materna e ha caratteristiche più logiche, risolutive: chi ne fa parte propone soluzioni ai problemi, verificano se vengono attuate le indicazioni proposte e se il problema viene risolto.
Infine il cerchio mette in evidenza una conflittualità egocentrica e si divide in egomaschio (ex triangolo) ed egofemmina (ex asta).
Gli esseri umani sono una combinazione di questi tre aspetti e tutti noi abbiamo una parte di conformismo e una di trasgressione, per cui siamo spinti a fare un certo tipo di scelta piuttosto che un altro di fronte ai problemi che ci troviamo ad affrontare. In pratica, optiamo per ricompense più importanti anche se ci tocca attendere (la gallina) oppure le preferiamo minori ma immediate (l’uovo), secondo il nostro archetipo dominante.