Di Marco Belletti
Il primo aereo di costruzione interamente italiana che decolla da una pista del nostro Paese è un triplano progettato dall’ingegner Aristide Faccioli che si solleva dal terreno di fianco all’ippodromo di Mirafiori a Torino, pilotato da Mario Faccioli, il figlio del progettista. È il 13 gennaio 1909: il velivolo è dotato di un motore a 4 cilindri raffreddato ad acqua in grado di erogare 75 cavalli, ha due eliche disassate e controrotanti a 1.200 giri al minuto ed è costruito dalla “SPA”, la Società Piemontese Automobili.Considerando quel tentativo con l’esperienza moderna, più che il volo di un falco, il triplano di Faccioli compie un balzo da tacchino, visto che staccatosi da terra e sollevatosi di circa 5 metri, vola per una sessantina di metri prima di toccare il terreno con la coda per poi impennarsi, rovesciarsi e schiantarsi al suolo, fortunatamente senza conseguenze per il pilota.
Sul quotidiano “La Stampa” del giorno dopo, il cronista scrive, pur senza essere stato presente al fatto: “I pochi presenti, fra i quali vi erano il cavalier Matteo Ceirano, il conte di Sant’Albano, il dottor Piccardo e il meccanico Albera, accorsero in aiuto del pilota…”
Pur non ottenendo il risultato sperato, l’ingegner Faccioli non demorde e senza perdersi d’animo abbandona la formula del triplano e progetta una serie di biplani – che senza molta fantasia chiama “Faccioli 2”, “Faccioli 3” e “Faccioli 4” – dotandoli di un propulsore da 35 cavalli. Tra maggio e luglio 1909 il primo velivolo viene collaudato con alterne fortune decollando dalla piazza d’armi di Venaria Reale (Torino), area che diventerà in seguito un vero aeroporto.
L’esordio del “Faccioli 3” risale al 12 febbraio 1910, sempre a Venaria, di fronte a un folto pubblico mentre i tentativi di dieci giorni dopo vedono come spettatore anche Gabriele d’Annunzio il quale la sera stessa durante una conferenza dal titolo “Il dominio dei cieli” apprezza apertamente Aristide e Mario Faccioli per il loro ingegno e la bravura.
Infine il “Faccioli 4” viene collaudato nell’ottobre 1910 con grande successo, tanto che Mario consegue il brevetto di pilota numero 21, il primo assegnato in Italia su un aereo completamente progettato e costruito nel nostro paese.
Nato a Bologna nel 1848, Aristide Faccioli appena laureato si dedica allo studio dei propulsori, brevettando nel 1883 un motore a gas, nel 1891 registra l’applicazione di motori a idrocarburo su vetture, nel 1895 brevetta alcuni perfezionamenti per i motori a quattro tempi. Nel 1898 Giovanni Battista Ceirano gli affida la carica di direttore tecnico della sua azienda automobilistica (appena nata) dove Faccioli realizza nel 1899 la sua prima automobile, la “Welleyes”, con motore orizzontale a due pistoni di 663 cmc che riscuote subito un grande interesse. Quando nel luglio 1899 nasce la “FIAT”, tutti i brevetti e i dipendenti della Ceirano passano alla nuova società, e Faccioli diventa il primo direttore tecnico, fornendo un contributo sostanziale per la crescita della nuova azienda. La leggenda vuole che sia stato proprio lui a proporre il nome di FIAT come “Fabbrica Italiana Automobili Torino”, anche se qualcuno insinua che si tratta dell’acronimo di Faccioli Ingegner Aristide Torino…
Si deve a lui la prima vettura dell’azienda torinese (quella FIAT 3½ HP che sarà poi rinominata 4 HP) praticamente identica alla sua Welleyes tranne per il motore bicilindrico trasversale posizionato posteriormente. Faccioli rassegna le dimissioni dalla FIAT nel 1901 e inizia a progettare e produrre in proprio motori ma dato lo scarso successo nel 1908 si fa assumere dalla SPA e si occupa esclusivamente di progettazione aeronautica.
A parte i primi tentativi tra il 1909 e il 1910, Faccioli non ha molta fortuna neppure in questa avventura, che abbandona presto per dedicarsi alla filosofia e alla religione e muore suicida a Torino il 28 gennaio 1920.
Nel frattempo – sull’onda di un inarrestabile entusiasmo per i due emblemi del progresso e della velocità, l’auto e l’aereo – nei primi anni del Ventesimo secolo si organizzano gare e raid per superare costantemente limiti che fino a pochi mesi prima sembravano irraggiungibili. Basti pensare che solo due anni dopo i primi zoppicanti tentativi di Faccioli, nel giugno 1911 si decide di celebrare l’Esposizione internazionale (come si chiamava in quegli l’Expo) di Torino organizzando un raid aereo con partenza da Parigi, arrivo a Roma e conclusione a Torino.
L’idea viene al giornale parigino “Le Petit Jounal” che lancia questa sfida ad aviatori e piloti per unire la Francia e l’Italia sotto la stessa egida di scienza e progresso. La gara prevede nove tappe per un totale di 2.095 chilometri: i concorrenti partono da Parigi, toccano Digione, Lione, Avignone, Nizza, Genova, Pisa e Roma, da dove i velivoli avrebbero proseguito facendo tappa a Firenze e Bologna per terminare trionfalmente il raid a Torino.
E così il 28 maggio, con velivoli su cui oggi anche soltanto salire farebbe venire paura, partono 25 tra i più celebri aviatori dell’epoca, tra i quali Roland Garros, Romolo Manissero, André Beaumont e Andrea Frey. Il raid fin da subito si presenta come una sfida impossibile, tanto che a Roma arriva solo un quarto dei fragili aeroplani in tela e legno partiti dalla capitale francese. Molti sono costretti ad atterraggi d’emergenza per guasti o avverse condizioni atmosferiche e spesso fusoliere, ali o eliche si rompono e i piloti si feriscono, rendendo impossibile proseguire la gara. Nonostante alcuni guasti il primo ad arrivare a Roma è André Beaumont, seguito da Roland Garros che atterra qualche ora più tardi, mentre terzo giunge Andrea Frey. In realtà il grande pilota Garros (cui è intitolato il più prestigioso torneo di tennis francese) è in testa quando giunto nei pressi di Pisa per un guasto è costretto a un atterraggio di emergenza nei pressi di una ferrovia, proprio mentre passa un treno che si ferma per aiutare il pilota. Garros (solo lievemente ferito) sale sul convoglio e va in cerca di qualcuno che possa riparargli l’aereo ma, appena arrivato a Pisa, vede passare sopra di sé Beaumont, che vola verso la vittoria.
Siccome solo sei aerei atterrano a Roma, tutti meccanicamente malridotti e con i piloti sfiniti, la giuria decreta concluso il raid nella capitale. Soltanto Andrea Frey tenta l’impresa di raggiungere Torino: decolla il 12 giugno ma si perde e precipita vicino a Viterbo, dove rimane per tredici ore tra i rottami del suo aereo ad attendere i soccorsi con una gamba, un braccio e la mandibola fratturati. Sembra si sia salvato solo grazie al casco che indossava e al fatto che il terreno su cui è caduto era reso cedevole per le forti piogge di quei giorni. Il raid “Parigi-Roma-Torino” non arriva quindi nel capoluogo piemontese, ma mai come in quegli anni sui giornali francesi si parla di Torino.