Alla fine fine un giudice ha ritenuto che Alessandra, insegnante storicamente depressa che “sapeva quello che stava facendo e che la Dignitas si occupò del caso con ogni scrupolo”. Sarà, ma familiari e amici non sono convinti. C’è il capitolo aperto delle donazioni “volontarie” alla “Casa Blu”. E poi un flashback: “In quei giorni, quando Alessandra aveva maturato la sua decisione, tagliando i legami con il suo vecchio mondo, la incontrai per caso nel terminal delle partenze dell’aeroporto di Catania. La salutai, non la vedevo da parecchio tempo, faceva parte del mio cerchio di amicizie. La vidi strana, un po’ trasognata, un po’ imbarazzata. Pensavo andasse a Roma per un convegno, invece era diretta a Zurigo. La invitai a una rimpatriata. Lei sorrise… pochi giorni dopo dopo ho capito il senso di quel sorriso. Sono un medico e trovo assurdo suicidare persone in perfette condizioni fisiche, è un’ingiustizia”.
Alessandra è morta il 27 marzo nella Casa Blu, le finestre che danno su un un lago e sul bosco, a Zurigo. Si chiama Casa Blu perché le travi di legno sono dipinte di un blu pallido, e l’interno, molto sobrio, riprende quel colore stinto. Per giorni e giorni i responsabili hanno rifiutato ogni contato con la famiglia, poi tempo dopo, sono arrivate via posta le ceneri in un’urna essenziale.
Nella vicenda del suicidio assistito della donna di 46 anni, insegnante di Paternò (Catania), sofferente al punto da desiderare di non risvegliarsi più, ci sono aspetti che i magistrati vogliono chiarire. Dalla procura di Catania è partito un avviso di garanzia alla volta di Torino nei confronti di Emilio Coveri, 68 anni, presidente di un'associazione, Exit Italia, che da anni propugna "il diritto delle persone a una morte dignitosa". Il reato ipotizzato dal procuratore aggiunto Ignazio Ponzo e dal pm Angelo Brugaletta è l'istigazione al suicidio, vale dai cinque ai dodici anni di carcere. Lo stesso reato contestato a Marco Cappato per la morte di DJ Fabo, di fatto annullato dalla Consulta proprio in questi giorni.
L'insegnante era tormentata dalla depressione. Da un paio d'anni non esercitava più. I familiari le erano sempre stati vicino. Coveri e Alessandra si tenevano in contatto fin dal 2017. Telefonate, e-mail, sms dove gli inquirenti rilevano, tra l'altro, "sollecitazioni e argomentazioni in ordine alla legittimità, anche etica, della scelta suicidiaria". Il 5 febbraio 2018 l'insegnante prese la tessera di Exit. I familiari si affrettarono a bloccare i beni della donna nel timore che, oltre a versare i 6.200 euro per l'assistenza, avesse intestato a qualcuno il resto dei suoi averi. D'altro canto - sostiene la procura - le leggi svizzere vietano l'eutanasia "a fini egoistici", come quelli finalizzati ad appropriarsi di patrimoni "di chi è istigato al suicidio". Inoltre pretendono che venga praticata solo nei casi di "patologie incurabili, handicap intollerabili, dolori insopportabili". E Alessandra, sia pure sommando depressione e nevralgie, non poteva essere considerata una malata terminale. Ed è proprio questo il punto.