Cinque anni fa, dopo il referendum del 6 novembre 2012, il Colorado diventa il primo Stato americano a legalizzare la marijuana per uso medicinale e ricreativo. Seguirono polemiche e accuse, ma anche una malcelata curiosità, per capire se realmente depenalizzare le droghe meno pesanti poteva essere un passo in avanti per togliere potere ai trafficanti. Dopo il Colorado, altri 9 stati scelsero di fare lo stesso: Washington, Alaska, Oregon, California, Massachussets, Maine, Vermont, Michigan e Nevada.
Ma adesso, ad un lustro di distanza, proprio per il Colorado è tempo di bilanci, per valutare l’impatto che la legalizzazione ha avuto sulla vita dei 5,6 milioni di abitanti del “Colorful State”. Il primo dato positivo è che il commercio illegale sembra quasi del tutto scomparso: rimane in minima parte, limitato a pochissimi punti del Paese. Il sole invece splende per le casse dello Stato, con un gettito fiscale che in cinque anni ha raggiunto il miliardo di dollari, mettendo a segno un record: 266 milioni di dollari in 12 mesi. Merito dei 690 coltivatori di cannabis contro i 192 di cinque anni fa, dimostrazione pratica di un business con una filiera che si allunga sempre più, dando lavoro a più di 40mila persone, impiegate in aziende che producono dolci, saponi, infusi, caramelle e bevande a base di cannabis.
E c’è un altro dato confortante: la legalizzazione non ha portato al temutissimo aumento del consumo fra chi ha più di 21 anni: se all’entrata in vigore della legge la metà dei giovani fumava marijuana, oggi sono poco più di un terzo. Ma da questo punto in poi iniziano le note dolenti: l’aumento esponenziale degli incidenti stradali mortali, letteralmente raddoppiati in cinque anni, in cui chi era alla guida aveva fumato marijuana. E peggio ancora, perfino quintuplicate le visite al pronto soccorso per malattie mentali derivate dal consumo di cannabis alimentare.