di Marco Belletti
Le canzoni sulla felicità si sprecano e ogni autore ha la propria (forse non particolarmente intelligente) ricetta personale: per Bobby McFerrin non bisogna prendersela, per Pharrell Williams occorre applaudire se ci si sente come una stanza senza tetto e per Al Bano è stringere la mano della sua Romina…
In realtà la felicità è un argomento da sempre preso molto sul serio, tanto che già Cicerone, Seneca e san Tommaso d’Aquino ne scrissero, ognuno interpretandola secondo il proprio modo di concepire la vita: per il primo è la filosofia che permette di raggiungerla, per il secondo va conquistata da soli praticando virtù ed eliminando i desideri, mentre per Tommaso la felicità è contemplazione e desiderio di bene. Molto più vicino a questi filosofi che ai colleghi cantanti è stato Jim Morrison, il mitico frontman dei Doors, che affermò: “Bimbo mi chiedi che cos’è la felicità? Rimani bimbo e lo vedrai…”
Oggi forse più prosaicamente a occuparsi di felicità ci sono anche la statistica e il marketing in mano a società d’indagine, agenzie governative, think tank, ONG… tutti pronti a stilare classifiche d’ogni tipo e genere pur di catalogare i nostri pensieri e i nostri modi di comportarci per ottenere spunti e linee guida che da un lato possano permetterci di migliorare ulteriormente le nostre vite, dall’altro possano metterci sotto il tiro di chi vuole guidare le nostre scelte.
Recentemente sono state stilate due classifiche proprio sulla felicità che offrono parecchi spunti di riflessione. La prima – elaborata dalle Nazioni Unite – è il “World Happiness Report” che alcune settimane dopo la giornata mondiale della felicità fissata il 20 marzo, ha stabilito quali sono le nazioni più felici al mondo.
Tra i 156 Paesi presi in considerazione è stata la Finlandia a ottenere la vittoria, affiancata sull’ideale podio da Danimarca e Norvegia. I dati sono stati raccolti da Gallup – la società statunitense di analisi e consulenza fondata da nel 1935 da George Gallup, che negli anni è diventata famosa per i sondaggi di opinione pubblica condotti in tutto il mondo – mentre il report è stato redatto dal Sustainable Development Solutions Network. Alle spalle delle tre migliori nazioni, seguono nell’ordine Islanda, Olanda, Svizzera, Svezia, Nuova Zelanda, Canada e Austria.
Sono stati presi in considerazione numerosi fattori come, per esempio, il PIL, il reddito pro capite, l’aspettativa di vita, il livello d’istruzione, il tasso di occupazione e quello di criminalità. Rispetto alle indagini degli anni precedenti – che non vedono variazioni nelle nazioni che compongono la top ten – in linea di massima il livello di felicità è sensibilmente calato e sono aumentate tristezza, rabbia e preoccupazione soprattutto nei Paesi africani e asiatici, o quelli in cui la situazione sociale e politica sono molto difficili.
L’Italia nella classifica 2019 occupa la trentaseiesima posizione, ancora decisamente lontana rispetto al vertice ma – nonostante possa sembrare un risultato negativo – è in rapida rimonta, avendo migliorato di ben 11 posizioni rispetto al 2018.
È leggermente diversa la seconda classifica che prendiamo in esame, stilata dalla World Organization for International Relations (WOIR), ente che fa parte del dipartimento Affari economici e sociali delle Nazioni Unite che si occupa di numerosi temi, come pace e sicurezza, sviluppo, diritti umani, affari umanitari, leggi internazionali, cambiamenti climatici e ambiente. La WOIR è stata fondata nel 1978 per iniziativa di Emilia Lordi-Jantus, funzionaria dell’ONU per la FAO e per il programma alimentare mondiale.
L’ente internazionale ha appena diffuso la classifica 2019 dei Paesi più a misura di bambino, che vede al primo posto la Svezia, seguita dalla Finlandia (ancora lei!) e – piuttosto sorprendentemente – dall’Italia alle cui spalle si piazzano Norvegia, Singapore, Slovenia, Irlanda e Germania.
Questa graduatoria non ha l’obiettivo di premiare i Paesi più virtuosi, bensì di sensibilizzare l’opinione pubblica e i politici sulle sofferenze che milioni di bambini sono costretti a patire nelle nazioni con gravi problemi sociali e sanitari. L’Unicef stima che oltre 2 miliardi di persone nel mondo non assumono vitamine fondamentali e minerali in quantità almeno sufficiente per sopravvivere e secondo la WOIR sul pianeta oltre 200 milioni di bambini sotto i 5 anni di età soffrono di malnutrizione e non hanno cibo adeguato per essere in grado di difendersi da malattie facilmente curabili e prevenibili.
Il ranking dei Paesi più a misura di bambino vede agli ultimi posti Sierra Leone, Somalia, Mali, Ciad e Burkina Faso, nazioni dove il tasso di mortalità sotto i 5 anni è mediamente del 18 per cento e dove quasi un bambino su 5 muore di fame. Soltanto leggermente migliore la situazione in Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centrafricana, Guinea-Bissau, Angola e Burundi dove il tasso di mortalità sotto i 5 anni è mediamente del 15 per cento.
In generale, in queste nazioni un minore su tre è malnutrito, tagliato fuori dall’educazione o coinvolto in forme di lavoro minorile o di violenza, come nel caso dei bambini-soldato e delle spose-bambine.
Anche se – affermano in WOIR – nella maggior parte dei casi non è la sola malnutrizione a uccidere, ma le malattie e le infezioni che a causa di essa si sviluppano nell’organismo: polmoniti, infezioni gastrointestinali, diarrea, vomito.
Gli esperti affermano che semplicemente stanziando una cifra di 9 miliardi di dollari – decisamente bassa a livello planetario – sarebbe possibile proteggere dalla malnutrizione il 90 per cento dei bambini, anche incoraggiando l’allattamento al seno e l’integrazione alimentare con vitamina A, zinco e sale iodato.
Oltre ai numerosi casi letali, la malnutrizione cronica ha inoltre effetti altrettanto devastanti, in quanto pregiudica la crescita. Infatti, un sufficiente apporto di proteine, vitamine e sali minerali è fondamentale per gli organismi dei bambini ed è indispensabile per lo sviluppo delle loro facoltà intellettuali.
L’attenzione globale verso questi report – soprattutto il primo – continua a crescere e i governi, le organizzazioni e le società utilizzano sempre più spesso gli indicatori sulla felicità nei processi decisionali. Fattori importanti da considerare sono l’attenzione dedicata al fenomeno delle migrazioni e ai livelli di felicità degli immigrati in quanto sono sempre più le nazioni coinvolte in questo complesso problema. L’indagine comprende un elevato numero di indicatori per misurare la felicità dei migranti, delle famiglie rimaste nei Paesi d’origine e degli abitanti di città e stati che ospitano i migranti.
Sperando che presto quanto affermato da Jim Morrison possa diventare realtà nei Paesi dove i bimbi non immaginano neppure che cosa sia, la felicità.