Da quando “Leaving Neverland”, il docu-film che accusa Michael Jackson di pedofilia come forse nessuno aveva mai fatto, sul nome del re del Pop è scattata l’indignazione tout-court. I suoi successi boicottati dalle radio di mezzo mondo, oggetti che appartenevano a lui eliminati dai musei e addirittura in forse le celebrazioni per i dieci anni della morte, il prossimo giugno.
Un fronte comune, un coro da cui è difficile discostarsi, a meno dio non essere una delle più grandi artiste viventi, così celebre da essere al di fuori di ogni sospetto e soprattutto al sicuro da meccanismi vendicativi dello showbiz. È il caso di Barbra Streisand, 76 anni, icona dello spettacolo che in bacheca vanta Oscar conquistati per il talento come attrice e Grammy per la sua voce, ma soprattutto 145 milioni di album in tutto il mondo. Insomma, una che quando va parla va ascoltata.
Barbra è la prima a dare un colpo di remi controcorrente, invitando a ribaltare la situazione mostrata in Leaving Neverland: invece di accusare MJ, provare a chiedersi quando Wada Robson e James Safenchuck siano da considerare in modo un po’ troppo sbrigativo due poveri adolescenti finiti nelle grinfie di un mostro pedofilo. “Possiamo dire molestati, ma quei due erano ben contenti di essere lì, coperti di regali e attenzioni. Mi dispiace per quei bambini, crederò sempre alle loro accuse di molestie perché ho trovato molto doloro guardare il documentario. Ma ritengo che la responsabilità vera vada ai genitori che hanno concesso loro di dormire lì”. E ancora: “Mi chiedo perché Michael avesse bisogno di vestire quei ragazzini come lui, perché li voleva nei suoi show. Michael non li ha uccisi, in fin dei conti oggi sono sposati e hanno avuto dei figli. Erano i bisogni sessuali di Jackson, derivanti dall’infanzia che avuto e dal suo Dna. L’ho incontrato una sola volta e l’impressione è stata di una persona molto dolce, quasi infantile”.