È stata la moglie Debra, dopo giorni in cui aveva perso ogni contatto, a dare l’allarme: Angela Madsen, campionessa paralimpica americana, non dava più segni di vita. La Guardia Costiera ha fatto partire i ricognitori e allertato una nave mercantile che si trovava nell’area in cui era stata segnalata l’ultima volta la presenza della campionessa. Poche ore dopo è arrivata la conferma: Angela era morta. Il suo corpo è stato ritrovato in acqua.
Si è conclusa tragicamente l’esistenza di una donna instancabile, atleta di grande spessore capace di conquistare ori olimpici in diverse specialità. Malgrado i 60 anni festeggiati da poco, Angela non voleva saperne di allentare la voglia di spingersi oltre i propri limiti. L’ultima impresa, quella fatale, una regata in solitaria nelle acque del pacifico, con partenza da Los Angeles e arrivo a Honolulu, Hawaii.
Angela Madsen è stata per sei volte inserita nel Guinness dei Primati e puntava a diventare la prima anziana paraplegica a remare dalla California alle Hawaii. “Ci ha detto più volte che se fosse morta in qualche impresa, le sarebbe andato bene così, perché il mare la rendeva felice - ha commentato la famiglia Madsen in una nota postata sui social - Angela era una guerriera: malgrado una vita forgiata da incredibili avversità, è riuscita a superare tutto facendo quello che aveva sognato fin da bambina”.
Attivista del movimento LGBTQ e sostenitrice dei diritti dei disabili, la Madsen aveva servito nell’esercito come Marine per 20 anni, fino al grave infortunio alla schiena che l’aveva costretta alla sedia a rotelle. È entrata per la prima volta nella nazionale americana di canottaggio nel 2002, debuttando ai Campionati del Mondo di Siviglia, in Spagna. Con la Nazionale ha vinto quattro medaglie d’oro e una d’argento, partecipando per tre volte alle Paraolimpiadi, in cui ha conquistato il bronzo sia nel canottaggio che nel lancio del peso. “So che, qualunque sia il mio scopo in questa vita, il mio corpo diversamente abile, fisicamente limitato e malconcio è l’unico mezzo possibile per raggiungerlo. Ho imparato a sopportare il dolore e a rassegnarmi a non poter più contare sulle mie gambe, ma se potessi tornare indietro e cambiare le cose probabilmente non lo farei. All’inizio ero furiosa, poi ho capito”, scriveva nella sua autobiografia.
L’impresa della Madsen era destinata a diventare un docufilm che iniziava dalla pesante preparazione che l’atleta si era imposta: quattro mesi remando 12 ore al giorno. Partita dal Los Angeles, aveva con sé cibo e un dissalatore per l’acqua: ha remato per 1.114 miglia nautiche, restando in mare per 60 giorni.
L’ultimo messaggio domenica 21 giugno, quando via satellite ha avvisato che stava entrare in acqua nel tentativo di riparare l’ancora di prua. Poi più nulla.