Sei titoli mondiali e un conto in banca che gli permette una certa serenità hanno avuto un costo salato da pagare: Lewis Hamilton, campione della Mercedes destinato ad una pagina fra le leggende della F1, scende in campo dicendo la sua sulle proteste che scoppiano ovunque contro l’assurda morte di George Floyd.
Hamilton, 35 anni, ha approfittato della sua notorietà per aprire uno squarcio sul circo colorato dello sport più ricco e appariscente che ci sia, svelando che anche lui ha vissuto e ingoiato episodi di razzismo dovuti al colore della sua pelle. Ma quel che è peggio, è il silenzio dei suoi colleghi e dei dirigenti: “Ci sono proteste che scoppiano ovunque, ma le star del mio ambiente restano rigorosamente in silenzio. Potrei fare i nomi, uno ad uno: so chi sono, li vedo, li ascolto. È ora di cambiare il modo in cui sono considerate le minoranze”.
Louis si sente isolato nel tentativo di combattere la discriminazione razziale in una disciplina sportiva da sempre “dominata dai bianchi”. “Non sono e non sarò mai d’accordo con i saccheggi, gli incendi, i morti e i feriti, sono al fianco di tutti coloro che protestano pacificamente. Ma non potrà mai esserci pace finché i nostri leader non metteranno in pratica un vero cambiamento. E questo non riguarda solo l’America, ma il Regno Unito, la Spagna, l’Italia e tutto il resto del mondo”.
È stato Toto Wolff, il team manager della Mercedes, a parlare per primo dei maltrattamenti e degli episodi di razzismo che Hamilton che ha subito quand’era piccolo e che ancora oggi gli provocano dolore: “Quando Lewis era un ragazzino, era l’unico nero tra tanti bianchi, e so che ha subito abusi razziali, in pista e fuori. Se da bambino riesci a superare le cattiverie sviluppi una personalità più forte, ma restano anche cicatrici profonde”.