Il mondo si inchina davanti al dio del calcio, come sempre consacrato più adesso – che non c’è più – di quando era in vita. È lo stesso processo catartico di assoluzione toccato a Michael Jackson o a Elvis, personaggi che dall’essere leggende viventi, nella parabola discendente delle loro carriere si erano trasformati in macchiette di se stessi. Anche Maradona era inguardabile: grasso ed eccessivo in tutto. Ma quando nella sua vita ha dato il massimo era stato un dio, e tanto basta.
L’Argentina, come Napoli, sono in lutto. Il feretro di Dieguito è stato portato alla “Casa Rosada”, dove è stata allestita la camera ardente, con migliaia di persone in coda da ore per dare l’ultimo omaggio al campione.
Il quotidiano “Clarin”, lo stesso che per primo ha annunciato la morte del Pibe de Oro, ha raccolto i risultati preliminari dell’autopsia effettuata ieri sul corpo del campione all’ospedale di San Fernando tra le 19:30 e le 22. Secondo il rapporto, la causa della morte è da attribuire ad una “insufficienza cardiaca acuta, generata da un edema polmonare acuto”. John Broyard, procuratore generale di San Isidro, ha confermato che “non sono stati riscontrati segni di violenza”.
L’ultima persona ad averlo visto vivo è stato suo nipote, Jonatan Esposito (figlio di Maria Rosa, la sorella di Diego), alle 23 di martedì, poco prima che il campione si addormentasse. Nei giorni scorsi, la famiglia aveva notato che Diego era “molto ansioso e nervoso”, per cui l’idea di trasferirlo a Cuba per la riabilitazione era stata rimandata. Da qualche giorno, Maradona si era stabilito nella sua residenza di San Andres, nel quartiere di Tigre, a Buenos Aires, dopo l’intervento chirurgico alla testa a causa di un ematoma subdurale. Il presidente Alberto Fernandez ha decretato tre giorni di lutto nazionale.