Torna in carcere perché non vuole testimoniare contro Julian Assange, attualmente detenuto nelle carceri speciali inglesi di massima sicurezza. “Possono anche uccidermi ma non cambio idea”. Così, trascorsi 62 giorni dai carcere, l’ex talpa di “WikiLeaks” Chelesa Manning che aveva lasciato il carcere “William G. Truesdale” di Alexandria, in Virginia, dove era detenuta dallo scorso 8 marzo per oltraggio alla corte dopo il rifiuto di testimoniare davanti ad un giudice federale dell’Eastern District, è decisa a tornar ein della dove la attenda una pesante condanna ancora da scontare. Gli avvocati della Manning hanno ribadito che “Testimoniare significherebbe tradire ciò in cui crede: è pronta a pagare le conseguenze della sua scelta. Ma useremo ogni mezzo legale per dimostrare che ha il diritto di farlo”.
Ex analista dell’intelligence americana e whistleblower, 31 anni, diventata donna nel 2013 cambiando in Chelsea il nome di battesimo Bradley, nel 2017 era stata graziata dopo 7 anni di reclusione dall’allora presidente Barack Obama per i 35 anni di prigione a cui era stata condannata, ritenuti una pena “sproporzionata”. Sul suo capo pendeva il furto di circa 700mila documenti militari e diplomatici relativi alle guerre in Iraq e Afghanistan, di cui moltissimi top secret, passati al celebre sito di denuncia fondato da Julian Assange. Nei documenti divulgati dalla Manning i retroscena di torture, stupri e di numerose uccisioni, anche di civili, avvenute in Iraq.