La vicenda di Edward Gallagher, ex ufficiale pluridecorato dei “Navy Seal” e del temutissimo “Team Seven Alpha Platoon”, ha tenuto banco per settimane: conosciuto come “The Blade”, la lama, era stato accusato di crimini di guerra per aver ucciso senza motivo un giovane prigioniero iracheno in Iraq nel 2017. A capo delle operazioni speciali durante l’offensiva americana per strappare Mosul all’Isis, Gallagher era stato denunciato da sette uomini del suo plotone, ma il processo a suo carico si era concluso con la piena assoluzione accompagnata dalla grazia del presidente Trump.
Ma adesso, suo conto di “The Blade” si addensano nuove ombre scure: il “New York Times” ha avuto accesso ad alcune videointerviste utilizzate nel corso delle indagini in cui Gallagher è descritto come “Un vero mostro”, un uomo “Tossico, malvagio e cattivo” per cui “È lecito sparare qualsiasi cosa si muova”, così lo definiscono alcuni ex uomini del suo plotone: Craig Miller, Corey Scott e Joshua Vriens.
Il caso dei crimini di guerra di Gallagher si è guadagnato l’attenzione nazionale dopo che il Presidente Trump è intervenuto in modo controverso, ignorando il parere dei vertici del Pentagono secondo cui una tale presa di posizione avrebbe potuto danneggiare l’integrità del sistema giudiziario militare.
Nei video ottenuti dal NYT, i membri del plotone accusano Gallagher di aver sparato senza motivo ad un dodicenne sospettato di far parte dell’Isis, definendo Gallagher come uno “psicopatico” che negli ultimi tempi aveva preso di mira i civili.
Le interviste erano state incluse nei fascicoli investigativi della Marina Militare per istruire il processo contro Edward Gallagher, accusato di crimini di guerra, e forniscono una rara eccezione del codice di silenzio e omertà che copre la forza d’élite della marina americana.
“La mia prima reazione ai video è stata la sorpresa e il disgusto per il fatto che hanno inventato menzogne su di me, ma mi sono subito reso conto che avevano paura che la verità venisse fuori per come vigliaccamente hanno agito in azione - ha commentato Gallagher – ma mi è dispiaciuto che abbiano ritenuto necessario infangare il mio nome, senza mai rendersi conto di quali sarebbero state le conseguenze delle loro menzogne. Per quanto fossi sconvolto, i video mi hanno anche dato fiducia, perché sapevo che le loro bugie non avrebbero retto sotto un vero interrogatorio e che la giuria avrebbe capito la verità. Le loro bugie e il rifiuto del Naval Criminal Investigative Service di fare domande difficili o di considerare per veritiere le loro storie hanno rafforzato la mia determinazione ad andare in tribunale e riabilitare il mio nome”. Secondo Timothy Parlatore, l’avvocato di Gallagher, le interviste dei SEAL contenevano falsità e incongruenze che al contrario sono state “una chiara tabella di marcia verso l’assoluzione”.
Gallagher era stato condannato nel luglio scorso per aver portato discredito alle forze armate dopo aver posato in una foto accanto al cadavere di un combattente dell’Isis morto nel 2017 in Iraq: è stato assolto dall’accusa di omicidio premeditato. Il caso ha subito una svolta quando un testimone chiave dell’accusa si è addossato la colpa di aver ucciso il prigioniero. Ma contro la testimonianza c’era quella di Corey Scott, un medico dei “Seal” che ha raccontato di aver visto Gallagher estrarre il suo coltello e pugnalare il prigioniero.
Dopo il processo, Gallagher è stato retrocesso di grado, una decisione che Trump ha ribaltato con una mossa che ha fatto arrabbiare i vertici militari e ha portato a una revisione del suo status nei Navy Seal: il 30 novembre la decisione di lasciare la Marina.