Con la parola “ergastolo”, si chiude definitivamente la carriera di Joaquín Guzmán Loera, per tutti “El Chapo”, il più celebre e spietato narcotrafficante del mondo. Per l’ex boss del cartello di Sinaloa, 62 anni, è arrivata la pronuncia della corte federale di New York che a febbraio lo aveva condannato per tutti e dieci i capi di imputazione, compresi omicidio, traffico di sostanze stupefacenti, riciclaggio di denaro e uso di armi da fuoco.
Un processo “monster”, con 56 testimoni ascoltati in aula, di cui una quindicina suoi ex collaboratori, in cui è stata ricostruita la nascita e l’ascesa del cartello di Sinaloa, fra violenze, evasioni, fiumi di denaro e trovate sempre più fantasiose per eludere i controlli sempre più pressanti della polizia di frontiera americana.
Arrestato nel 2016 ed estradato negli Stati Uniti l’anno successivo con la garanzia di evitargli la pena di morte, El Chapo è stato condannato anche a 30 anni accessori e ala risarcimento di 12,6 miliardi di dollari. Poco prima della lettura della sentenza, il narcotrafficante messicano ha accusato il sistema carcerario americano di “tortura psicologica, emotiva e mentale, 24 ore su 24”. Uno degli avvocati del boss ha annunciato di voler richiedere un nuovo processo per presunti pregiudizi della giuria.
Nei prossimi giorni il trasferimento, con un imponente spiegamento di forze, al carcere di massima sicurezza ADX Florence, in Colorado, “l’Alcatraz delle Montagne Rocciose”, il più sicuro degli Stati Uniti.